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Come e che cosa mangeremo in futuro? Lo deciderà solo il gusto

Al di là dello scontro tra tradizionalisti e creativi, che cosa mangeremo in futuro?

A rivelarci che cosa mangeremo in futuro è solo il gusto, ovvero un fattore culturale. Sapore e saperi vanno a braccetto, mediati dalla società in cui viviamo che decide che cosa sia bello o brutto, buono o cattivo

Come e che cosa mangeremo in futuro? Prima di dirvelo, dobbiamo fare una piccola premessa. La cucina di un paese concorre alla formazione della sua cultura e della sua identità. La costruzione del senso di appartenenza impone la costruzione di una tradizione, che implica il rispetto e l’adesione ad alcune regole codificate.

la s'cianza a zerba

Il cibo è un’importante tessera di quel puzzle che concorre alla costruzione del senso di appartenenza. Il problema nasce quando la tradizione si trasforma in ideologia e, di conseguenza, le regole diventano delle costrizioni. Lo so, fa male, uccide i nostri ricordi, le nostre certezze, ma noi non mangiamo più come mangiavano le nostre nonne e i nostri nipoti non mangeranno come mangiamo noi.

Come e che cosa mangeremo in futuro: fate con noi un esperimento

Noi non siamo solo ciò che mangiamo, ma anche quello che abbiamo sempre mangiato. Modificare una ricetta, soprattutto in epoca di crisi, di crollo delle ideologie e dei simboli del 900, equivale a mettere in crisi un’identità già scricchiolante

Uscite di casa, entrate in una biblioteca (almeno una volta, abbandonate lo smartphone!) e chiedete di consultare vecchi ricettari e vecchi numeri di riviste come La Cucina Italiana. Sedetevi, scorrete le pagine e leggete con attenzione le ricette e le avvertenze per realizzarle senza sbagliare. Vi accorgerete che le ricette dei piatti della tradizione non sono affatto come quelle che conosciamo e mangiamo a casa o al ristorante.

Uno sguardo al passato: la storia dei tortellini e del ragù alla bolognese

Luca Cesari, storico della gastronomia, autore di Storia della pasta in dieci piatti (Il Saggiatore, 2021) e di Storia della pizza. Da Napoli a Hollywood (Il Saggiatore, 2023) è la nostra guida per ricostruire la storia di alcuni piatti della nostra tradizione e renderci conto di come si siano evoluti nel tempo.

La storia della pasta ripiena, una storia in continua evoluzione

anolini

Partiamo dalla pasta ripiena – anolini, cappelletti, casoncei, ravioli, pansoti – la cui farcia era molto diversa da quella da noi conosciuta oggi. Ciò che si è tramandata nel tempo sembra essere solo la forma e una preparazione che è un rito.

La pasta ripiena è un’invenzione medievale, una miniaturizazione dei pasticci di carne, formaggio e di verdure. Il ripieno era racchiuso da due strati di pasta cotta al forno. Lo stesso nome- tortellino – ci racconta il suo legame con il termine torta.

Nelle ricette salate medievali c’è spesso il pollo o il cappone lessato, tritato e arricchito con formaggio e spezie. Nel ‘400 si univa il formaggio fresco e stagionato, pancetta di maiale, lessata, tritata e insaporita con spezie. La pasta, della gransezza di una castagna, doveva cuocere mentre si recitavano due “pater noster”. Le ricette nei secoli variano. Alcuni ingredienti, come il cappone. decadono. Sarà Artusi adecretare la vittoria del lombo del maiale e a dare indicazioni per la forma rotonda o quadrata da lavorare. Ma anche l’Artusi sarà superato e sarà l’industria con le sue esigenze a dettar legge.

Il ragù alla bolognese, una ricetta della tradizione?

Già dal nome identifichiamo il ragù come ricetta bolognese. In realtà le sue più antiche radici affondano nella cucina francese. Probabilmente, nei tempi antichi nelle case bolognesi, l’aggiunta di carne -poca – nel sugo era dato dalla necessità di preparare un piatto sì economico, ma anche sostanzioso. Piano piano la quantità di carne divenne maggiore rispetto al formaggio.

Artusi

È l’Artusi a codificare la ricetta del ragù alla bolognese. L’unico grande assente nella sua ricetta rispetto alla versione moderna è il pomodoro. La pasta da utilizzare erano i maccheroni, la scelta delle tagliatelle è, dunque, più recente. Risale ai primi del Novecento, quando la carne tritata di lombo di maiale assume molta rilevanza.

La ricetta del ragù alla bolognese è stata depositata il 17ottobre del 1982 presso la Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura del capoluogo emiliano dalla Delegazione di Bologna dell’Accademia Italiana della Cucina. In realtà è stata codificata una tra le tante versioni di una ricetta che nella formulazione da noi conosciuta era nata solo 60 anni prima! Sicuri che non cambierà più?

La strana storia delle fettuccine di Alfredo di successo in America e sconosciuta in Italia

Vi è poi un piatto che in America è conosciuto come bandiera del Made in Italy, ma che in realtà in Italia pochi conoscono: le fettuccine di Alfredo. Nei primi del 900, a Roma, in via della Scrofa, c’era una trattoria, dove l’oste Alfredo serviva le sue proposte gastronomiche. Alla nascita del figlio, Alfredo preparò un piatto energetico per fare recuperare le forze alla moglie: le fettuccine all’uovo con burro e parmigiano. Piacquero a tal punto alla moglie che questi le introdusse nel menu.

Divennero ben presto il piatto forte della trattoria di Alfredo anche per il modo di proporle. Il servizio del piatto avveniva in modo scenografico al tavolo e non in cucina.

Due star hollywoodiane, Mary Pickford e Douglas Fairbanks, le assaggiarono, se ne innamorarono e d’allora le fettuccine di Alfredo divennero il piatto più amato dagli attori americani di passaggio nella capitale italiana. Portato in America subì varianti alquanto fantasiose, ma furono sempre associate alla dolce vita romana e per questo divennero il piatto Made in Italy per eccellenza. In Usa il successo fu determinato anche dall’ industrializzazione e dalla grande distribuzione che rese possibile la dffusione di sughi e piatti pronti.

Secondo Luca Cesari le fettuccine di Alfredo sarebbero il primo piatto della nostra tradizione di pasta, dimenticata poi in Italia per l’eccessiva personalizzazione della ricetta da parte di Alfredo. In realtà, l’uso di condire la pasta con il formaggio era antichissima. Alfredo non fece altro che recuperare un’antica tradizione rendendola moderna attraverso il servizio.

La pasta condita con il formaggio risale al Medioevo

boccaccio

Nel Medioevo si conoscevano solo due modi di cuocere la pasta: nel bodo (o nel latte) e al forno. Come la si condiva? Con il formaggio grattugiato. Una rappresentazione di ciò è contenuta nel Decameron di Boccaccio. Nella terza novella dell’ottavo giorno, Bruno e Buffalmacco burlano il povero Calandrino descrivendogli il meraviglioso paese di Bengodi. Un meraviglioso luogo, dove si trovava una montagna di parmigiano da cui rotolavano maccheroni e ravioli. Dunque, la pasta era buona se era condita con tanto formaggio! Solo nel ‘400 al formaggio si aggiungerà il burro, a cui si poteva unire cannella e pepe.

Come nasce una ricetta destinata a diventare una ricetta della tradizione

RTUSI

Nessuno di noi oserebbe mettere in dubbio l’autorità dell’Artusi. Vi siete chiesti quale metodo utilizzò per scrivere “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene“? Raccolse le ricette, le lesse e ne compilò una summa. Molte ricette riportate nel suo libro, Artusi non le aveva mai mangiate. Lo scrive lo stesso autore:

“Una signora di Parma, che non ho il bene di conoscere, andata sposa a Milano, mi scrive: “Mi prendo la libertà d’inviarle la ricetta di una minestra che a Parma, mia amata città natale, è di rito nelle solennità famigliari; e non c’è casa, io credo, ove nei giorni di Natale e Pasqua non si facciano i tradizionali Anolini”.

La tecnologia indispensabile per aprire il nostro sguardo sul futuro

A dettare il successo di una ricetta è il gusto e il gusto cambia con il passar delle stagioni. A questo proposito non va sottovalutato l’apporto delle tecnologie, che impongono cambiamenti alla compilazione delle ricette.

Le ricerche, gli studi sugli ingredienti, sulla loro lavorazione sono sempre al servizio del migliorare il sapore, la consistenza, gli abbinamenti. L’alleanza tra gusto e nuove tecnologie contribuiscono a costruire nuovi stili alimentari, che non prevedono la distruzione della tradizione ma ìl suo aprirsi al presente e al futuro. Il tempo è inesorabile, non si ferma.

Come e che cosa mangeremo in futuro? Ce lo dice un fattore culturale: il gusto

Per evitare di trasformarci in una sbiadita cartolina appesa in ristoranti di nuova generazione, dobbiamo evitare sterili polemiche che ci portano fuori dalla storia

Premessa dal sapore famelico: se non vogliamo trasformarci in un ticordo del passato, dobbiamo abbandonare polemiche nostalgiche e guardare al futuro senza temere di perdere battaglie che non sono mai esistite.

Se si hanno solide basi culturali, non si teme il confronto, non si ha paura delle contaminaziomi. Dobbiamo, al contrario, rifiutare l’immagine dei mangia- spaghetti, quella macchietta che nei primi anni del ‘900 accompagnava i nostri migranti.

Un tema del futuro? La carne sintetica

carne sintetica

E qui si inserisce la spinosa polemica sulla carne sintetica (pessimo nome!). La carne sintetica è  un progetto nato nel secolo scorso che è diventato realtà grazie alla tecnologia. Winston Churchill nel 1941 scriveva “Dovremmo evitare l’assurdità di allevare un pollo intero per mangiarne il petto o l’ala, trovando invece un modo conveniente per coltivare queste sue parti separatamente”. Non sono parole gettate al vento, da lì a poco si sono sviluppati diversi studi per creare quei prodotti che oggi chiamiamo sintetici.

In nome della difesa della tradizione, in Italia il governo ne ha addirittura vietata la vendita. Un atteggiamento stupido, conservatore. Si bloccherà la ricerca? Ne dubito e pian piano aumenteranno i curiosi, coloro che vorranno sapere e decidere se mangiarla o no.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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