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Il libro di Pellegrino Artusi, La scienza in cucina: cibo, cultura ed identità

Cibo, cultura ed identità, tre parole per riassumere il libro di Pellegrino Artusi, La scienza in cucina e l’Arte del mangiar bene. Non un semplice ricettario, ma una vera opera letteraria gastronomica.

“Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”. Così diceva Massimo d’Azeglio il 17 marzo 1861. La politica sembrava non averne le capacità, la cultura . In effetti occorreva che chi abitava lo Stivale, condividesse valori, saper e sapori comuni.

Per fare ciò si imponeva l’uso e la comprensione dell’italiano. Per svolgere tale compito tutti riconoscono un ruolo fondamentale a due libri: le edizioni preunitarie de I promessi sposi di Alessandro Manzoni, e, ad unità avvenuta, Le avventure di Pinocchio. Storia di un Burattino di Collodi.

Il libro di Pellegrino Artusi, La scienza in cucina anticipa temi e tempi

Si deve aggiungere un libro che non è solo un ricettario: La scienza in cucina e l’Arte del mangiar bene di Pellegrino Artusi, un best seller letto in tutta Italia. Diventato presto una Bibbia gastronomica, contribuì a fare conoscere le ricette regionali agli italiani e a fare nascere la cucina italiana, superando le influenze della cucina francese. Così, ad esempio, i beignets divennero ciambelline e il soufflé lo sgonfiotto.

Ma il merito del gastronomo e biografo Pellegrino Artusi va oltre. Contribuì alla reale unificazione italiana anche dal punto di vista linguistico. Felice fu l’intuizione che un’identità nazionale si costruisce anche fondando un gusto unitario in cui riconoscersi partendo dal territorio e dalle sue ricchezze infinite del popolo italico. A ben vedere si può parlare di rapporto tra cibo e cultura coniugate con identità e territorio.

Da qui il suo grande impegno a costruire un lessico gastronomico nazionale. Superando la frammentarietà dei dialetti che impediva la condivisione della lingua italiana, dette vita alla lingua italiana della tavola. Divenne un abile mediatore tra l’italiano e i diversi dialetti, il tutto privilegiando il volgare toscano. Il risultato fu la costruzione delle fondamenta della cucina italiana, riconoscendole un valore scientifico, artistico e culturale.

Artusi ha il grande merito di avere reso letterario un libro di cucina. Lo scrive nel 1891, in un’Italia descritta dall’Inchiesta Jacini -studio dello stato dell’agricoltura nel Belpaese – come rivolta ad un lento progresso, come testimoniava il passaggio dal pane di patate a quello di grano, il rallentamento della diffusione della pellagra. Ahimè  il nostro paese rimaneva afflitto da una scarsa scolarizzazione come dimostrava la scarsa conoscenza dell’italiano. Artusi con il suo libro di cucina aiutò proprio la divulgazione dell’italiano.

Dalla condivisione delle ricette nasce anche il gusto italiano, un “buon gusto” oggi completamente mutato ma che all’epoca contribuì a creare una letteratura gastronomica italiana. Si supera definitivamente il mito rinascimentale del “buon padre di famiglia” per creare quello del “borghese”, attento soprattutto all’economia e al risparmio. Nessun interesse per le masse popolari, né ad una coscienza sociale dell’alimentazione.

Manca una visione filosofica, domina piuttosto l’edonismo del gentiluomo che ama il buon cibo. Per Artusi la cucina è equiparabile ad una signorinella graziosa, ma ritrosa, talvolta addirittura smorfiosa, da trattare in modo scanzonato. Il tratto principale è combattere ogni atteggiamento anti-economico. Alla cucina sono riconosciuti due aspetti fondamentali: fisiologico ed economico. Predomina una visione positivistica, a cui si riconosce una via di fuga nella creatività.

Artusi ha il merito di sdoganare due ingredienti che non sono italiani: il pomodoro e la patata. Il pomodoro assume addirittura un ruolo rivoluzionario, invadendo la nostra cucina. In particolare contribuisce a mutare la figura del napoletano, che si trasforma da “mangiafoglie” in “mangiamaccheroni”. Artusi aveva compreso che la cucina è soprattutto contaminazione.

Un libro da leggere? Sicuramente sì. É brioso, ricco di anedotti, proverbi, rime tanto da poter essere “assaporato” sia come un racconto sulla cucina con note sull’igiene, sulla scienza sia come testo che ha contribuito a definire il rapporto tra cibo, cultura, identità e territorio.

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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