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Come fare i cappelletti all’uso di Romagna secondi Artusi

Scopri la ricetta su come fare i cappelletti all’uso di Romagna secondi Artusi, il gastronomo e critico letterario che ha contribuito alla nascita della cucina italiana, proponendo ricette da fare a casa. Una vera fonte di ispirazione per chi si cimenta ai fornelli.

Ecco la ricetta regionale dei cappelletti romagnoli, una ricetta facile e golosa per festeggiare i 200 anni dalla nascita di Pellegrino Artusi.

La ricetta di Artusi

Come fare i cappelletti all’uso di Romagna

Ecco il modo più semplice di farli onde riescano meno gravi allo stomaco:

  • Ricotta, oppure metà ricotta e metà cacio raviggiolo, grammi 180
  • Mezzo petto di cappone cotto nel burro, condito con sale e pepe, e tritato fine fine colla lunetta
  • Parmigiano grattato, grammi 30
  • Uova, uno intero e un rosso
  • Odore di noce moscata, poche spezie, scorza di limone a chi piace
  • Un pizzico di sale

Assaggiate il composto per poterlo al caso correggere, perché gl’ingredienti non corrispondono sempre a un modo. Mancandoo il petto di cappone, supplite con grammi 100 di magro di maiale nella lombata, cotto e condizionato nella stessa maniera.

Se la ricotta o il raviggiolo (formaggio toscano, specie di cacio tenero, fatto di latte per lo più di capra, schiacciato, che suol mangiarsi fresco) fossero troppo morbidi, lasciate addietro la chiara d’uovo oppure aggiungete un altro rosso se il composto riescisse troppo sodo.

Per chiuderlo fate una sfoglia piuttosto tenera di farina spenta con sole uova servendovi anche di qualche chiara rimasta, e tagliatela con un disco rotondo con diametro 67 mm. Ponete il composto in mezzo ai dischi e piegateli in due formando così una mezza luna; poi prendete le due estremità della medesima, riunitele insieme ed avrete il cappelletto compito.

Se la sfoglia vi si risecca fra mano, bagnate, con un dito intinto nell’acqua, gli orli dei dischi. Questa minestra per rendersi più grata al gusto richiede il brodo di cappone; di quel rimminchionito animale che per sua bontà si offre nella solennità di Natale in olocausto agli uomini.

Cuocete dunque i cappelletti nel suo brodo come si usa in Romagna, ove trovereste nel citato giorno degli eroi che si vantano di averne mangiati cento; ma c’è il caso però di crepare, come avvenne ad un mio conoscente. A un mangiatore discreto bastano due dozzine.

Il racconto

A proposito di questa minestra vi narrerò un fatterello, se vogliamo di poca importanza, ma che può dare argomento a riflettere. Avete dunque a sapere che di lambiccarsi il cervello su’ libri i signori di Romagna non ne vogliono saper buccicata (ovvero nulla), forse perché fino dall’infanzia i figli si avvezzano a vedere i genitori a tutt’altro intenti che a sfogliar libri e fors’anche perché, essendo paese ove si può far vita gaudente con poco, non si crede necessaria tanta istruzione; quindi il novanta per cento, a dir poco, dei giovanetti, quando hanno fatto le ginnasiali, si buttano sull’imbraca (si dice di cavalli che si ostinano a non andare avanti), e avete un bel tirare per la cavezza ché non si muovono.

Fino a questo punto arrivarono col figlio Carlino, marito e moglie, in un villaggio della bassa Romagna; ma il padre che la pretendeva a progressista, benché potesse lasciare il figliuolo a sufficienza provvisto avrebbe pur desiderato di farne   un avvocato e, chi sa, fors’anche un deputato, perché da quello a questo è breve il passo. Dopo molti discorsi, consigli e contrasti in famiglia fu deciso il gran distacco per mandar Carlino a proseguire gli studi in una grande città, e siccome Ferrara era la più vicina per questo fu preferita. Il padre ve lo condusse, ma col cuore gonfio di duolo avendolo dovuto strappare dal seno della tenera mamma che lo bagnava di pianto.

Non era anco scorsa intera la settimana quando i genitori si erano messi a tavola sopra una minestra di cappelletti, e dopo un lungo silenzio e qualche sospiro la buona madre proruppe: “Oh se ci fosse stato il nostro Carlino cui i cappelletti piacevano tanto!” Erano appena proferite queste parole che si sente picchiare all’uscio di strada, e dopo un momento, ecco Carlino slanciarsi tutto festevole in mezzo alla sala.

“Oh! cavallo di ritorno”, esclama il babbo, “cos’è stato?” “È stato”, risponde Carlino, “che il marcire sui libri non è affare per me e che mi farò tagliare a pezzi piuttosto che ritornare in quella galera”. La buona mamma gongolante di gioia corse ad abbracciare il figliuolo e rivolta al marito: “Lascialo fare, meglio un asino vivo che un dottore morto; avrà abbastanza di che occuparsi co’ suoi interessi”. Infatti, d’allora in poi gl’interessi di Carlino furono un fucile e un cane da caccia, un focoso cavallo attaccato a un bel baroccino (veicolo leggiero a due ruote con un sedile senza spalliera da attaccarsi a un cavallo) e continui assalti alle giovani contadine.

Conosci La Scienza in cucina s l’arte del mangiare bene e Pellegrino Artusi?

Il libro scritto da Pellegrino Artusi nel 1891, La Scienza in cucina e l’arte di mangiare bene, è la madre dei ricettari moderni. Un libro dedicato alla cucina domestica con il dichiarato obiettivo di essere letto da tutti.”Se l’avesse compilato Doney – io gli risposi – probabilmente nessuno capirebbe nulla come avviene del grosso volume Il re de’ cuochi; mentre con questo Manuale pratico basta si sappia tenere un mestolo in mano, che qualche cosa si annaspa”. Più chiaro di così…

Lo scrittore nasceva 200 anni fa a Forlimpopoli e la sua città lo ricorda con un progetto che unisce passato e futuro. Con Artusi ad alta voce si sono “tradotti” gli scritti in un racconto online letto da 790 lettori, tanti quante le ricette artusiane.

Come festeggiare il grande scrittore? Portando in tavola una sua ricetta!

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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