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Noi siamo ciò che mangiamo: il cibo e la nostra identità culturale

Nell’epoca dell’alimentazione consapevole rivolgiamo lo sguardo al passato per scoprire il nostro rapporto con il cibo

Noi siamo ciò che mangiamo. La celebre espressione del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach ci induce a definirci attraverso il cibo. Negli anni in cui cerchiamo di scoprire come e che cosa mangiare per vivere bene, il nostro sguardo si rivolge inevitabilmente al passato, alla ricerca del significato di gesti di cui non conosciamo più le origini e il valore.

Le domande che ci poniamo sono le più bizzarre. Ecco qualche esempio:

  • Perchè i coltelli da tavola non sono mai affilati?
  • Come si è evoluta nel tempo la distribuzione dei pasti in aereo?
  • Come si deve mangiare con le mani per essere educati?
  • Perchà si brinda? Qual è il suo signficato?
  • Qual è l’origine del termine ristorante e sopratutto qual è il suo rapporto con un brodo caldo distribuito per riacquistare le forze?
  • Quale popolo è stato davvero sostenibile (senza saperlo?)

Tutte queste curiosità ci spingono a intraprendere un un viaggio culturale per scoprire l’origine di tante nostre abitudini e ricette oggi considerate identitarie.

Noi siamo ciò che mangiamo: Cibo è cultura, storia di contaminazioni culturali

dessert

Tanti nostri “rituali” gastronomici che compiamo senza rivolgere loro alcuna attenzione sono ricchi di significati nascosti. Per conoscere la loro origine ci dobbiamo rivolgere al passato. Un passato in cui le storie di paesi con culture diverse si intrecciano e, talvolta, si confondono. È il caso, ad esempio, della parola dessert, comune sia alla lingua inglese che francese. Dessert deriva dall’espressione francese table desservie (tavola vuota) con cui veniva designato il servizio che veniva proposto per ultimo durante un banchetto.

…ma anche motivo di tanti viaggi

Chi non ha sentito parlare di turismo enogastronomico? Cibo e turismo sono un binomio vincente. Gli itinerari del gusto nascono per promuovere territori e quegli ingredienti e ricette che fanno parte della nostra cultura alimentare.

La storia dei coltelli da tavola: perchè sono poco affilati?

coltelli da tavola

I coltelli sono un’invenzione antichissima. La loro esistenza risalirebbe all’epoca paleolitica. Nascevano per diversi scopi: dividere il cibo, cacciare, tagliare pelli di animali o per difendersi. Possedere un coltello significava soprattutto esercitare un potere.

Il coltello arrivò sulla tavola nel 500. Nel trattato “Galateo overo de’ costumi” di Giovanni Della Casa, pubblicato nel 1558, si trovano alcune regole legate al coltello da tavola ancora oggi valide. Eccone alcune ancora oggi in vigore:

  • mantenere la parte tagliente verso il proprio piatto in segno di pace nei confronti dei commensali
  • non usare il coltello per portare il cibo alla bocca
  • porgere agli altri il coltello tenendolo per la lama e non viceversa.
  • il coltello deve essere usato solo quando serve davvero.

Il coltello è, da sempre, associato ad azioni violente e per questo se ne è sempre voluto limitare l’utilizzo, mettendo in tavola il più delle volte coltelli poco affilati.

La strana storia del termine ristorante

da bistruccio

Nel 1765, poco prima della Rivoluzione francese, Boulanger aprì un’attività di ristorazione nei pressi del Palazzo del Louvre. Qui vendeva “ristoranti”, dei consommé a base di carne e verdure. Il termine “ristoranti” per tali piatti era conosciuto in Francia fin dal Medioevo.

Quando Boulanger scrisse sulla vetrina del suo negozio la frase latina del Vangelo di San Matteo come claim pubblicitario: “Venite ad me omnes qui stomacho laboratis et ego vos restaurabo” (Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi dal peso, e io vi darò sollievo), il locale cominciò ad essere popolarmente chiamato ristorante, anche se serviva altre ptoposte oltre al brodo. Con il tempo, il termine ristorante fu usato per indicare ipunti di ristoro in cui si mangiava al tavolo serviti da camerieri.

Il cibo in aereo da gran lusso a servizio veloce

fantasy moby

Durante i primi voli il cibo era offerto solo per rendere più affascinanti le traversate aeree. Era una sorta di cerimonia che richiamava il sevizio al ristorante. Prevedeva bottiglie di vino, tovaglie, stoviglie, posate ed era servito da assistenti di volo maschi vestiti con giacche bianche. Ben presto ci si accorse che le frequenti turbolenze rendevano il servizio assai difficoltoso. Non solo, il rumore impediva una normale conversazione!

Dopo la seconda guerra mondiale, le compagnie aeree tagliarono i costi e iniziarono a riempire gli aerei di clienti seduti, come sugli autobus. Il servizio si è così dovuto evolvere per occupare poco spazio, essere asettico e monouso. Avete mai osservato il coltello? Di solito ha una lama triangolare per essere utilizzato tenendo i gomiti stretti al corpo in modo che la lama scenda verticalmente sul cibo. In questo modo si evita di disturbare il proprio compagno di posto.

Le bacchette, un’estensione delle nostre dita

bacchtte

Mangiare con le mani non viene considerato educato tranne che in alcune culture e circostanze. Il metodo più consono è quello di usare il pollice e l’indice della mano destra, imitando le bacchette orientali.

Le bacchette, una sorta di estensione delle nostre dita, si sono iniziate ad usare in Oriente per prendere il riso, dal momento che nei paesi orientali viene mangiato incrostato e umido. I piatti sono poi disposti al centro di tavoli rotondi o quadrati in modo che tutti i commensali siano alla stessa distanza dalle stoviglie.

Ogni commensale riceve una piccola ciotola per il riso che accompagna tutti i piatti. Il padrone di casa o la madre lo distribuisce nelle ciotole. Quando tutti sono serviti, l’ospite può raccogliere la carne o il pesce con le sue bacchette e trasferirlo dal piatto comune alla ciotola, per essere consumato da lì.

L’alcol, la convivialità e il brindisi

L’usanza di bere con le braccia incrociate durante i brindisi nuziali proviene dai paesi scandinavi, dove i guerrieri brindavano guardandosi negli occhi per assicurarsi che nessuno avvelenasse l’altro.

Il brindisi ha una storia antica che risale a più di 5000 anni fa. Secondo alcune testimonianze già gli Egiziani, in occasione dei matrimoni, erano soliti sollevare i calici. Nei banchetti greci e romani il vino non accompagnava il cibo, ma veniva degustato dopo cena nel sympósion (bere comune), dove vigeva un rituale, che prevedeva recitazioni di poesie e discussioni su vari argomenti, con sottofondo musicale e spettacoli di intrattenimento.

vino

Gli antichi bevevano vino anche per ringraziare gli dei o rendere gli onori ai defunti. Prima di brindare, mettevano nella coppa briciole di pane tostato per ridurre l’acidità del vino spesso considerato troppo amaro. Durante il tumultuoso periodo della repubblica romana il rito del brindisi poteva servire per avvelenare gli oppositori. Lo scontro delle coppe, infatti, permetteva alla bevanda avvelenata di contaminare quella dell’avversario. La forma dei contenitori rendeva possibile l’avvelenamento senza provocare scandali.

Nel Rinascimento il brindisi perde il legame con il sacro e diventa soprattutto un modo per sigillare accordi, per risolvere diatribe politiche, economiche o situazioni difficili.

La cucina romana e la storia di Apicio

s tsvols con i romani

Per conoscere le abitudini alimentari dei Romani dobbiamo leggere Apicio, l’autore del libro De re coquinaria, datato I secolo d.C. L’aristocratico si mangiò in banchetti un capitale di oltre cento milioni di sesterzi. Quando il suo amministratore lo avvertì che doveva cambiare vita se non voleva finire in bancarotta, preferì suicidarsi.

Apcio era un grande amante della cucina e a lui si devono prelibatezze come il pappagallo arrosto, considerato un boccone squisito alla portata di pochi. Non meravigliatevi, i Romani avevano una predilezione per piatti come l‘utero e le mammelle delle scrofe! E, quando le vivande non erano nulla di straordinario, venivano disposte in piatti d’oro e d’argento per dimostrare il potere economico dell’ospite.

Sorpresa…i romani erano sostenibili

Al termine dei banchetti i Romani portavano via gli avanzi. Un modo per non sprecare cibi che non potevano essere conservati a lungo.

Quando nascono i primi allevamenti ittici

pesce

Sempre ai Romani dobbiamo l’invenzione degli allevamenti ittici. Ai loro tempi, il pesce era un alimento molto pregiato, così svilupparono i cosiddetti piscinariistagni artificiali d’acqua dolce o salata per allevare le specie più pregiate. Claudio Eliano descive l’acquacoltura romana quando parla di un tempio dedicato ad Apollo dove pesci simili all’orata venivano nutriti con la carne dei sacrifici. Plinio, invece, scriveva di un vivaio di murene.

Quelle verdure sconosciute a Greci e Romani

arancia

Dobbiamo molto ai Greci e ai Romani, ma non tutto. Noi siamo debitori anche agli Arabi, buoni agricoltori, che introdussero alcuni ortaggi sconosciuti in epoca romana, come melanzane, spinaci, barbabietole, riso (che portarono dalla Cina), arance, banane, mele e limoni. A loro sobbiamo anche l’invenzione di un prodotto che sarebbe diventato uno dei dimboli del Made in Italy apprezzato in tutto il mondo: il gelato.

Quando il cibo divenne materia letteraria in Italia

Il libro di Pellegrino Artusi, La scienza in cucina,. Così nasce la cucina italiana e si contribuisce alla formazione dell'identità nazionale

L’autore che rende il cibo materia letteraria in Italia è Pellegrino Artusi. Il suo libro La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, ma per tutti l’Artusi, scritto a fine 800, conta ben 790 ricette, che hanno insegnato a migliaia di italiani a cucinare a casa. Il libro è ancora oggi venduto con gran successo. Forse la sua immortalità è dovuta alla sua semplicità. In una delle prefazioni Artusi scrive: “con questo Manuale pratico basta si sappia tener un mestolo in mano, che qualcosa si annaspa”.

Artusi nasce a Forlimpopoli nel 1820 da una famiglia benestante, proprietaria di una drogheria. Trasferitosi a Firenze, lavora con i genitori presso un banco di tessuti e di seta. A cinquant’anni lascia il lavoro per dedicarsi alle sue passioni. Artusi non era un cuoco, ma un esperto di cucina. Le sue ricette provenivano soprattutto dall’area tosco-emiliana, ma con incursioni in tutto il territorio nazionale. Questo perchè molte ricette erano in realtà inviate dai suoi lettori.

 

 

 

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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