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Roland Barthes: parlare di cultura, ovvero di cibo

Parlando di cibo si può discutere di mitologia, di contemporaneità, di impero giapponese, di pittura, di scrittura. ..e di tanto altro! Sì, avete letto bene: il cibo è cultura. Roland Barthes ne è convinto: il cibo è un sistema semiologico quasi perfetto. É una forma di linguaggio e di sistema valoriale che ci indica i codici di comportamento. Mangiare è parlare, discutere, relazionarsi. Nessuno si ciba solo per nutrirsi o per godere dei sapori. Il cibo nelle sue multiformi espressioni esprime identità e desiderio di costruire una propria diversità.

Il cibo come fondatore di miti

Il cibo contribuisce a costruire miti secondo Roland Barthes. Lo dimostra il vino per la Francia

Il cibo è cultura e come tale concorre alla costruzione dei miti. Un esempio? Il vino, quell’elemento culturale che ha contribuito a costruire l’identità dei francesi, caratterizzando intere classi sociali. Al proletariato serve per accettare il lavoro, agli intellettuali per legittimare la propria creatività. Come sottolinea Barthes: “ saper bere è una tecnica nazionale che serve a qualificare il francese, a provare la sua capacità di resistenza, il suo controllo, la sua socievolezza. Il vino fonda una morale collettiva all’interno della quale tutto è riscattato: gli eccessi, le disgrazie, i delitti sono possibili con il vino, ma non assolutamente la cattiveria, la perfidia o la disonestà”. L’opposizione mitologica al vino? Il latte, vissuto come sostanza esotica, capace di ricoprire, restaurare, riportandoci all’infanzia,  quel pegno di forza bianca,  capace di riportarci al reale.  Un elemento che si avvicina al vino è invece la bistecca, per la sua natura sanguigna, vicina alla crudità.  C’è un richiamo al sangue, come dimostra che i suoi gradi di cottura sono espressi da immagini di sangue e non di calore.

Il barocco occidentale contro il minimalismo giapponese: che cosa preferisce Roland Barthes?

Ma Roland Barthes predilige la proposta culinaria orientale o occidentale? Sicuramente la cultura giapponese

Per l’Occidente crudo è ciò che è poco elaborato, che cerca di essere più vicino al naturale, al contrario del cotto che è una elaborazione culinaria. Ma il crudo è pur sempre una preparazione costruita per avvicinarsi all’originario. Per l’Oriente il crudo non deve fingere di essere naturale, si è consapevoli che il crudo, come il cotto, è un prodotto creato dall’uomo. Diverse sono anche le modalità di presentazione del cibo. In Occidente o si propongono piatti economici, di semplice realizzazione e presentazione o si studiano mise en place che rievocano il sogno, la favola e persino il mito. In quest’ultimo caso si ricerca la sorpresa. Domina il glassato, la decorazione che nasconde l’alimento. Si cerca di cancellare la naturalità del cibo dando vita a una sorta di barocco che cela una contraddizione: la simultanea ricerca di ricostruzione mediante artifici di quella stessa naturalità negata. É spesso il trionfo del kitsh. Diametralmente opposta è la presentazione giapponese che mette al centro il vassoio che rende la presentazione assai delicata. Tutto è ordinato in modo che l’oggetto sparisca per esaltare il lavoro dello chef, che esprime un gioco ricco di significati. La cucina giapponese più che la cottura degli alimenti esalta la capacità di tagliarli e di abbinarli. Il piatto giapponese rimanda al movimento: si continua a cucinare in tavola. Mangiare e comporre il piatto è un gesto alimentare. Inoltre la cucina giapponese è tattile grazie all’abilità che bisogna saper dimostrare nell’utilizzo delle bacchette. Nulla a che vedere con il barocco occidentale. Ma Roland Barthes predilige la proposta culinaria orientale o occidentale? Sicuramente la cultura giapponese, dove prevale l’importanza del segno a discapito del concetto.

Il cibo: il lusso del desiderio

Barthes riprende Brillat-Savarin, l’autore più illustre della cucina francese, per ricordare che la gastronomia va al di là del soddisfacimento del bisogno di nutrizione per essere soprattutto lusso del desiderio. Quando il cibo diventa gastronomia si trasforma in convivialità, condivisione, relazione. Godere del cibo è gestire la socialità, rendendola fortemente piacevole. E allora il cibo diventa cultura, uno stimolo che induce a parlare bene, dunque a pensare….con gusto!

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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