Si può raccontare la propria vita attraverso il desiderio, la fame di cibo e cultura? Sì, soprattutto quando questa diventa metafora di altri desideri: amore, bellezza, avventure. Il romanzo autobiografico “Biografia della fame” della scrittrice belga Amélie Nothomb è una testimonianza di come sconfiggere l’anoressia cibandosi di parole, trasformando il corpo in carta. Il libro pubblicato nel 2004 è un romanzo senza tempo che vale la pena leggere e prestare agli amici per capire come il cibo sia un importante elemento identitario. Non solo personale, ma anche del proprio paese.
Quella di Amélie Nothomb è la storia di una fame che non può sopirsi: ogni appetito ne richiama un altro. É il racconto di una marcia trionfale di una donna che ha compreso che la fame è quell’aspirazione che ti porta a implorare che laddove sembra non esserci niente ci sia qualcosa. “L’affamato è qualcuno che cerca”– così scrive Amélie Nothomb. La scrittrice è consapevole che “la fame è volere. É un desiderio più grande del desiderio. Non è la volontà, che è forza. Non è neanche debolezza, perché la fame non conosce passività”. La sua storia è quella di una donna che ha convissuto con l’anoressia, che ha vissuto con difficoltà il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, che ha scelto nella scrittura un’arma per comunicare con il mondo.
…e l’obesità? La storia del corpo del soldato Malvin Mapple
Ma il cibo presenta anche un’altra faccia “malata”: l‘obesità. “Un corpo obeso è vivo? La sola prova che non è morto è che continua a ingrassare. É questa la logica dell’obesità”- ci racconta Nathalie in “Una forma di vita“. Il grasso nelle nostre società è un tabù, spaventa, disturba, disorienta, dà l’idea di non sapere controllare la fame e, dunque, le richieste del proprio corpo. Amélie Nothomb è affascinata dal suo significato sociale.
In “Una forma di vita” la scrittrice belga narra la sua relazione epistolare con un soldato americano di stanza in Iraq: Malvin Mapple. Malvin è obeso a causa di una sorta di bulimia nervosa causata dalla guerra. La paura, la follia del conflitto sono “divorati”, si materializzano in un corpo deriso dal resto della truppa. Un’obesità accettata perché le si assegna il nome di una donna: Sharazàd.
Ma chi è veramente Malvin Mapple? Un uomo che per sopravvivere si è impossessato dell’identità del fratello al fronte. In realtà lui vive chiuso nella prigione di una solitudine che, iniziata su Internet, è sfociata nel nulla. “Vivere a tempo pieno su internet crea una situazione di tale irrealtà che quel cibo divorato per mesi non era mai esistito. Ero un grasso privato di storia e, in quanto tale, geloso di quelli inclusi nella Grande Storia“. Chi è obeso perde identità, cerca disperatamente una forma di vita.
Perché parlare di anoressia, bulimia e obesità?
Oggi è di moda parlare di healthy food, di corpi perfetti, di allenamenti fatti allo scopo di avere il massimo controllo del proprio corpo. Non è facile parlare di identità, di costruzione della propria immagine rispettando se stessi. Si può veramente fare ciò che si vuole del proprio corpo? Siamo noi a scegliere come vogliamo essere o siamo vittime, più o meno consapevoli, di messaggi che ci bombardano in continuazione per imporci un’immagine che non ci rispecchia? Chi non riceve via mail o su FB continui inviti d aderire a metodi miracolosi a perdere 15-20 Kg in pochi mesi? Non richiesti, mi arrivano costantemente inviti a rassodare i glutei, a tonificare gli addominali. In base alla mia età, ai miei interessi, a ciò che scrivo o cerco in Internet sono stata “targetizzata”. L’incubo delle diete, la frustrazione di non diventare quello che altri vorrebbero che fossimo, provoca un dolore spesso difficile da comunicare. E così il cibo si trasforma in un’arma per ricordare e ricordarci quanto sia difficile amarsi e rispettarsi.
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