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La ricerca del personale per ristorazione per la ripartenza post Covid

Il settore della ristorazione sta affrontando una crisi senza precedenti: la mancanza di personale per ripartire dopo il Covid.

Mancano persone motivate”, “Non riusciamo a trovare personale”, “ i giovani sono poco preparati e non vogliono imparare”, “il reddito di cittadinanza uccide il mondo del lavoro”. Ecco le ricorrenti dichiarazioni dei ristoratori. Con l’allentamento delle misure anti- Covid speravano di tornare alla normalità. E invece non è stato così. Dopo lockdown e mesi di aperture intervallate da dure restrizioni, i ristoratori devono ora fare fronte ad un grossissimo problema: la mancanza di personale e l’esodo dei lavoratori in cerca di altre professioni. Il problema della ricerca del personale per ristorazione va assolutamente risolto.

Le lacerazioni lasciate dalla pandemia: non so più chi sono

La ristorazione sta pagando gli effetti della pandemia e uno di questi è il carico emotivo a cui sono stati sottoposti i lavoratori. Se alcuni hanno denunciato la mancanza di sicurezza sui posti di lavoro, altri addirittura hanno dichiarato di aver perso le motivazioni per una professione che richiede passione e dedizione. Tali sensazioni, aggiunte alla precarietà e alla difficoltà di accedere ai sussidi, hanno spinto molti a trovare nuovi sbocchi lavorativi.

Secondo lo sudio”La Psicologia al servizio della ristorazione”, promosso dall’associazione Ambasciatori del gusto (Adg) e dall’Ordine degli Psicologi del Lazio, in ambito psichico, fra i cuochi sono peggiorati anche gli stati ansiosi (40,54% rispetto al 32,43% precedente all’arrivo del coronavirus), la tristezza (38,73%, prima era il 35,13%) e la tendenza a isolarsi (34,90%, prima 32,20%). In particolare è stato vissuta male la necessità di far rispettare le regole. I diversi controlli da espletare hanno creato incomprensioni e attriti con i clienti, percepiti come più aggressivi rispetto al periodo pre-Covid.

Molti dipendenti fuggono poi dal mondo della ristorazione per l’impossibilità di ambire ad una crescita professionale. Il personale spesso è poco formato, ha scarse motivazioni ed è mal pagato a fronte di orari terrificanti. A tutto ciò si aggiunge l’appiattimento degli stipendi. Chi non ha esperienza alle spalle e manca di un percorso formativo è pagato tanto quanto chi ha maturato anni di lavoro e ha una buona preparazione. La demoralizzazione è inevitabile. Non può stupire che la stanchezza prenda il sopravvento e spinga a cercare nuovi orizzonti. Tale situazione è confermata dalla diminuzione di persone interessate ai corsi di formazione. Il più delle volte chi migliora la propria posizione lavorativa lo fa per anzianità. non per merito. E allora perché investire in corsi per migliorare le proprie conoscenze?

La fatica di lavorare nella ristorazione

Lavorare nella ristorazione, soprattutto nelle piccole realtà, comporta fatica e di ciò il lavoratore deve essere consapevole. E’ difficile venire incontro alle richieste dei dipendenti per diminuire le ore lavorative. Nelle realtà familiari è, infatti, impossibile la doppia turnazione, che consentirebbe di costruire un orario di lavoro meno pesante. I titolari avvertono poi la difficoltà di relazionarsi con lavoratori spesso preparati a svolgere solo una parte del lavoro. La scuola non prepara più i giovani a vivere la cucina a 360 gradi, dispensa un sapere parcellizzato. In realtà in brigata devi essere flessibile e adattarti ad una pluralità di incombenze.

La nuova generazione non ha voglia di lavorare?

Difficile rispondere. Di certo i giovani hanno cambiato il modo di relazionarsi al mondo del lavoro. Vogliono trovare un equilibrio tra vita lavorativa e privata. E, siamo onesti, il mondo del lavoro li ha delusi. La realizzazione, a differenza delle generazioni che li hanno preceduti, la cercano in altri ambiti. Stage sottopagati, tirocini trascorsi a pelare patate, stipendi da fame, finte partite iva e gavette infinite, spengono ogni voglia di realizzarsi attraverso il lavoro.

La ricerca del personale per ristorazione e il turn over

Al ristoratore oggi si pone un grave problema, difficile da risolvere. I lavoratori oggi ci sono, domani forse, dopodomani no. Per chi gestisce un ristorante non è facile fare fronte a un turn over impazzito,che impedisce di contare su una squadra affiatata e sulla necessaria programmazione. Inoltre il fenomeno dell’abbandono riguarda spesso i più dotati. Non è chiaro se il licenziamento improvviso e apparentemente immotivato sia causato dal desiderio di migliorare il proprio curriculum, dal desiderio di affinare le proprie competenze o da incapacità di adattarsi alle condizioni di lavoro. Forse occorrerebbe cambiare il modo di interagire con i lavoratori. Ci si dimentica spesso che il dipendente va motivato, ascoltato e supportato. Solo così si costruisce un team affiatato e “fedele”.

Possibili soluzioni per la ricerca del personale per ristorazione

Il problema non riguarda un solo paese, ma è globale. In tutto il mondo si è cercato di sperimentare soluzioni per arginare un fenomeno che rischia di mettere in seri guai il mondo della ristorazione. Non sono così mancati chef che hanno deciso di dare visibilità ai propri dipendenti, facendo un passo indietro. Altri hanno aumentato i prezzi dei loro menù anche del 50%, per poter far crescere lo stipendio. Alti ancora hanno messo in campo attività parallele per sostenere i costi degli esercizi. Così  lo chef del miglior ristorante del mondo, il danese René Redzepi, alla guida del Noma, ha scelto di aumentare lo stipendio dei suoi lavoratori del 25%, riducendo l’orario di lavoro di un altro 25%. Al momento, il grande cuoco non prende in considerazione l’aumento del prezzo del suo menu degustazione (386 euro), ma ha creato una nuova iniziativa per incrementare i suoi profitti: Noma Projects, un ramo del ristorante dedicato alla creazione di prodotti da fare in casa basati sulle innovazioni del ristorante.

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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