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Vivere il Salento on the road sulla traccia di frammenti letterari

Vuoi organizzare un viaggio in nome di cibo e cultura? Il Salento è una terra ricca di meraviglie naturali, enogastronomiche e culturali. Imperdibile una visita a Otranto e alla sua cattedrale.

C’è chi viaggia richiamando alla memoria frammenti di libri. Chi? Noi (Monica in tondo, Daniela in corsivo). Magari attingendo dalla biblioteca della reminiscenza. Si può conoscere la storia e l’anima del Salento ricordando brani letti, studiati, sicuramente amati? Certo: dai libri più antichi a quelli più moderni. E allora Salento on the road sulla traccia di frammenti letterari! E allora Salento on the road!

Salento on the road: un viaggio suggestivo alla ricerca di cibo e cultura

  • Il lampascione e Plinio il Vecchio
  • La Cattedrale di Otranto e Carmelo Bene
  • La taranta e Salvatore Quasimodo
  • Una statua senza testa a Castro e Virgilio
  • Le parole maliziose di antichi indovinelli

“I bulbi di Megara stimolavano al massimo grado il desiderio amoroso”- Plinio il Vecchio

 

Lo sapevate che il lampascione era il Viagra dell’antichità? Ce lo rivela Plinio il Vecchio. I Romani, ne erano talmente convinti, che lo proponevano nei banchetti nuziali!

Se Lampascione deriva dal latino tardo “lampadione”, il nome scientifico “Leopoldia comosa” è un termine che richiama una dedica a Leopoldo II granduca di Toscana e  “comosus”, ovvero “chiomato”, riferendosi al fiore. Nella tradizione popolare assume spesso il nome di “cipolla canina”o “giacinto dal pennacchio”.

Bulbo, parente dell’aglio, anche se più simile alla cipolla, trova dimora sottoterra. La sua raccolta è delicata: va preservata la parte interna. Ce lo ricorda un detto popolare pugliese:p’acchja u cambasciole ada scava affunne”.

Il sapore è molto particolare: intenso, dal retrogusto dolce, ma con punte decisamente amarognole. Ha molte proprietà benefiche. Abbassa la pressione arteriosa, stimola la secrezione biliare e “pulisce” l’intestino.

Come si prepara? A Minervino di Lecce ce lo racconta Angelo Vizzino, titolare dell’omonima azienda di conserve alimentari: “Dopo essere stato pulito, il lampascione è messo in acqua in modo che il bulbo perda il  liquido più amarognolo. Incidendo i bulbi  con tagli perpendicolari (per farli aprire durante la cottura), si possono cucinare in padella, in frittata o  al forno. Per la preparazione sott’olio i lampascioni si incidono con una  croce e  bolliti in acqua ed aceto in parti uguali, aggiungendo del  sale grosso. Raffreddati, vanno messi in vasetti con olio extravergine d’oliva, origano, timo e peperoncino”.

“Guardò in alto cercando il suo carnefice e lo trovò crocifisso”- Carmelo Bene

Salento on the road: i martiri di Otranto raccontati da Carmelo Bene

50 anni fa fu uno scandalo. “Nostra signora dei turchi”, libro scritto da Carmelo Bene nel 1966, rappresentato a teatro, trasformato anche film-non film è un testo ancora attuale. Presentato nel ’68 alla Mostra del Cinema di Venezia – l’edizione del Festival più tormentata della storia- vinse il Leone d’Argento, tra numerose polemiche alimentate dallo stesso Carmelo Bene. Romanzo storico sul Sud, inizia con una strage: la  strage del 1480. I Turchi decapitarono 800 uomini di Otranto, la cui colpa era stata quella di rifiutare  la conversione all’Islam. Le loro ossa sono ancora racchiuse e visibili nella cappella-ossario della Cattedrale.

L’indimenticabile voce di Carmelo Bene è l’io narrante di un testo denso si suggestioni che richiamano il dramma di chi non trova pace. Protagonista è la voce di un “uomo pugliese”, che, incarnando la solitudine metafisica e l’imminente rovina, sceglie, come tanti secoli prima, il martirio.

Cristianesimo e paganesimo, invettiva e dissacrazione, sangue e reliquie, donne e madonne, sacro e profano, citazioni colte e cultura popolare, ovvero la rappresentazione della dicotomia della pesantezza della lingua scritta e della apparente leggerezza dell’oralità. Tutto è permeato da quelle voci che se non esistessero renderebbero impossibile qualsiasi discorso artistico. Che cosa sono le reliquie, se non voci di un morto, lettere non spedite? Che cosa è la scrittura se non il tentativo di dare forma all’ascoltato che diventa narrato?

“I colori sono bianchi, neri, ruggine. É terra di veleni animali e vegetali” – Salvatore Quasimodo

 

Salento è anche terra arcaica. Lo dimostra la taranta. Lo aveva capito Salvatore Quasimodo, quando nel 1961 scrisse un commento dedicato all’opera del documentarista Gian Franco Mingozzi, il primo a filmare il fenomeno del tarantismo.

“Questa è la terra di Puglia e del Salento, spaccata dal sole e dalla solitudine, dove l’ uomo cammina sui lentischi e sulla creta. Avara è l’ acqua a scendere anche dal cielo, gli animali battono con gli zoccoli un tempo che ha invisibili mutamenti. I colori sono bianchi, neri, ruggine. E’ terra di veleni animali e vegetali: qui esce nella calura il ragno della follia e dell’assenza, si insinua nel sangue di corpi delicati che conoscono solo il lavoro arido della terra, distruttore della minima pace del giorno».

Oggi il tarantismo rischia di diventare un fenomeno folkloristico, forse nessuno pratica più l’esorcismo, una pratica dura e soggiogante. Sopravvive la musica e la danza. Noi l’abbiamo vista danzata nella scuola Kalimba Studio Dance di Poggiardo, dove abbiamo tentato qualche passo di pizzica, da non confondere con la taranta. Assistere a una danza così erotica ma nello stesso tempo, a mio parere, di rivendicazione disperata della propria fisicità, mi ha ricordato tante storie di donne.

“… templumque apparet in arce Minervae.” – Virgilio (ed è Salento on the road!)

Salento on the road
Dove approdò Enea, toccando l’Italia per la prima volta? A Castro in Salento.
Ve lo faccio dire da Virgilio (Eneide III, 530 e sgg)

“Crebrescunt optatae aurae portusque patescit
iam propior, templumque apparet in arce Minervae;
vela legunt socii et proras ad litora torquent. “

E ve lo traduco, quasi parola per parola, come piace a me, mantenendo il più possibile il ritmo dell’endecasillabo:

“Crescon le brezze sperate e un porto si apre
già più vicino, e un tempio appare sul monte, di Minerva.
Legano le vele, i compagni, e danno le prue verso terra.”

Per sentire gli stessi versi con un’altra musica, ecco la versione cinquecentesca di Annibal Caro:

Rinforzaronsi i venti; apparve il porto
Più da vicino; apparve al monte in cima
Di Pallade il delubro. Allor le vele
Calammo, e con le prore a terra demmo.”

Così, il templum Minervae che Virgilio cita si vedeva dall’alto e dal mare. E Castro è alta sulla costa, costruita in posizione elevata. Ora potete capire l’emozione sconvolgente per gli archeologi e i castrioti al ritrovamento, nel 2015, tre metri sotto il suolo, dei resti di una statua colossale di una dea proprio con gli attributi di Atena-Minerva, databile tra il V e il IV secolo avanti Cristo. Il torso acefalo di questa statua maestosa è custodito presso il Museo Archeologico nel castello aragonese di Castro. Andate a vederlo con i versi dell’Eneide in mente.

Cosa vuol dire tutto questo in termini di attrattività turistica? Che Castro e il Salento archeologico meriterebbero più tempo, più viaggi, più progetti, più risorse. Che gli studi classici sono un pozzo senza fondo. Che la pancia della terra è piena di misteri. Che la narrazione di un approdo è attuale in ogni tempo.

[Immagine: IPhone di Daniela]

“Longa e janca, capirossa …” (indovinello erotico raccolto da Nicola G. De Donno)

Salento on the road
Longa e janca, capirossa,
se la trasu a vanna scura
dopu pocu lu nasu ni cula”
Traduciamo:

“Lunga e bianca, testa rossa,
se la metto a luogo oscuro
dopo poco il naso le cola”

Che cos’è? Tutti i maliziosetti penseranno in termini fallocentrici. E invece? E invece quest’indovinello parla di un’innocentissima candela.

È solo un esempio dei tanti che Nicola G. De Donno (Maglie, Lecce, 1920-ivi, 2004) ha raccolto nella sua attività di studioso, docente e poeta. Abbiamo qui un poeta, sì, vernacolare. Un uomo di elevata cultura, che ha scelto il dialetto salentino come lingua più calda e più vera, solo apparentemente umile, in realtà profondamente espressiva.

Gli indovinelli – nella raccolta che ho sotto mano ce ne sono 140 – sono accomunati da allusioni pesanti e parole grevi. Ne volete un altro?

“Inne lu mònecu mme cutugna
me lassai inctugnare
me tuccau quiddu de sutta
e mme misi a ttremulare.”

cioè

“Venne il monaco a incazzottarmi
mi lasciai incazzottare
mi toccò quello di sotto
e mi misi a tremolare.”

Si ride e si ridacchia, perché questi indovinelli si declamano come perfetti doppi sensi, osceni fino all’ultima parola che però, una volta rivelata la soluzione, ritornano puliti. O quasi, perché rimandano a un mondo di oggetti di uso comune – di arredi, di riti, di modi e di luoghi che formano il tessuto letterario e sentimentale di un Salento senza tempo. Lo stesso Salento dei proverbi che già una volta abbiamo preso a pretesto #foodcultural.

E che dire di quel luogo del cuore che il poeta definisce sensualmente “a stu pizzu de bbicocca de paese perdutu”?

Se dunque desiderate
– leggere le poesie di questo autore: Nicola G. De Donno, Tutte le poesie. Primo volume, a cura di Simone Giorgino, Lecce, Milella, 2016
– recuperare gli indovinelli: “Indovinelli erotici salentini”, a cura di Nicola G. De Donno, Galatina (LE), Congedo Editore, 1990
– conoscere la soluzione del secondo dei due: … la campana.

[Immagine: IPhone di Daniela]

Buon Salento on the road a tutti. Preferibilmente, con un libro in valigia o nello zaino!

Monica Viani e Daniela Ferrando

Indirizzi utili

Conserve Alimentari Vizzino

Strada per Giuggianello

73027 Minervino di Lecce (Le)

Tel 0836 818069

E-mail: info@vizzino.it.

KALIMBA STUDIO DANCE

Via Borgo, 12

73037 Poggiardo (LE)

Cellulare: 380 2591708

 

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