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Perchè l’aumento del pane scatena sempre rivolte?

L’aumento del pane o la sua difficoltà a reperirlo ha provocato, nel corso dei secoli, moltissime rivolte. Nonostante oggi il pane sia consumato meno rispetto al passato, è ancora simbolo di benessere e di conservazione della pace sociale. Cibo è cultura!

«Se non hanno più pane, che mangino brioche». Ecco le celebri parole di Maria Antonietta, responsabili di aver scatenato la Rivoluzione Francese. Ma il pane non era la prima volta che aveva provocato sanguinose rivolte. Lo troviamo al centro di numerose cronache e riflessioni di intellettuali, poeti e storici. “Il popolo ha perso interesse per la politica“, scriveva Giovenale, tra il 100 e il 127 d.C., nella decima delle sue Satire“desidera avidamente solo due cose: panem et circenses“. Un sagace politico come Giulio Cesare ne aveva compreso il valore simbolico e così aveva deciso di distribuire gratuitamente il grano alle classi più disagiate. Una consuetudine che si mantenne per ben tre secoli! Una piccola spesa con un grande valore: la conservazione della pace sociale. Ancora oggi il pane, sebbene se ne consumi sempre meno, rimane simbolo di benessere.

Il consumo diminuisce, ma il pane mantiene un forte valore culturale

Oggi il pane non occupa più lo stesso posto nè sulle tavole né nell’immaginario europeo. Se nel XIX secolo in Europa la media di consumo giornaliero era di circa due chili e mezzo, oggi il pane è diventato un alimento che può anche non essere consumato quotidianamente. Ecco i dati resi noti nel 2020 dall’Italmopa, l’Associazione Mugnai Industriali d’Italia:

  • Romania  88 chili pro capite l’anno
  • Germania 80 chili pro capite l’anno
  • Olanda 57 chili pro capite l’anno
  • Polonia 52 chili pro capite l’anno
  • Spagna 47 chili pro capite l’anno
  • Francia 44 chili pro capite l’anno
  • Regno Unito 43 chili pro capite l’anno
  • Italia 41 chili pro capite l’anno

Nonostante il declino del suo consumo, il pane conserva ancora un forte carattere simbolico che non è attribuito a nessun altro alimento. E proprio per questo l’aumento del suo prezzo è considerato un segnale pericoloso per la pace sociale. D’altra parte il cibo è cultura e il pane ha un grande valore culturale. Il suo prezzo basso, la sua disponibilità ha garantito nel corso della storia la stabilità sociale. Nel Neolitico il passaggio dal nomadismo alle società sedentarie avvenne grazie alla scoperta delle tecniche di coltivazione dei cereali e, di conseguenza, la comparsa delle prime tiopologie di pane, sono diventate il simbolo della nascita di una società complessa, creando il concetto di benessere sociale. Dove si coltiva grano, si può produrre il pane e, di consreguenza, si garantisce la sopravvivenza. Se non lo si trova più nei mercati, la paura si impadronisce dei popoli e aumenta il rischio di rivolte.

Perchè l’aumento del pane scatena sempre rivolte?

aumento pane scatena sempre rivolte 2

Se sfogliamo un libro di storia, ci accorgiamo di quante volte la mancanza o l’aumento del prezzo del pane abbia dato vita a rivolte, a guerre o rivoluzioni: la rivolta a Milano del 1628, descritta da Alessandro Manzoni con il ricordo dell’assalto al forno delle grucce, la rivolta di Novgorod nel 1650, gli scontri a Boston del 1810 fino alla più recente “primavera araba”.

Di certo la Francia è la nazione più famosa per le rivolte legate al pane. Nel 1775, a seguito di scarsi raccolti di grano, alcune regioni francesi subirono una vera carestia, mentre altre, meglio rifornite, si salvarono dalla penuria. Questa situazione, che favorì la speculazione, portò alla “guerra della farina“. Saccheggi, attacchi a depositi e panetterie, ostruzione degli assi fluviali e stradali furono organizzati in tutto il regno francese settentrionale. Le rivolte, che precedono di poco la Rivoluzione Francese, furono fermate dal massiccio intervento dei soldati del re, dall’imposizione del controllo dei prezzi e dall’organizzazione dei rifornimenti alle province in difficoltà.

A segnare la storia francese fu però la manifestazione popolare condotta dalle donne parigine il 5 ottobre 1789. Tutti conoscono l’episodio a causa della frase apocrifa “se non hanno più pane, che mangino brioche». Un episodio, che insieme a molti altri, portò a far rotolare la testa di Maria Antonietta e alla fine della monarchia in Francia. Nell’immaginario collettivo fu proprio la rivolta per il pane delle parigine a portare alla nascita dell’Europa contemporanea e alla riconferma del rapporto amore/odio con il pane.

Il pane artigianale può sparire dalle nostre tavole?

In Italia consumiamo sempre meno pane. Poco più di 110 grammi al giorno. Nonostante questo, lo consideriamo un alimento indispensabile da inserire nella nostra dieta quotidiana. Eppure, con patate e legumi, è ritenuto un alimento che non può mancare nei carrelli della spesa. Ciò significa che conserva il suo valore simbolico. E i simboli contano. Lo sanno bene i politici.

Oggi non siamo in uno scenario economico che faccia presagire la scarsità o un fortissimo aumento del prezzo del pane, ma i timori non mancano. La paura nasce dal proseguire della guerra in Ucraina, che, allertando sui possibili effetti di carenze di cereali sui mercati mondiali, ha provocato un’impennata dei prezzi. Alla guerra si aggiunge il problema della siccità che porterà ad una significativa diminuzione della produzione di grano. Una vera calamità per i paesi in via di sviluppo.

Se sommiamo fattori quali la guerra in Ucraina, la siccità e il costo dell’energia ci dobbiamo chiedere se la figura del fornaio non rischia di scomparire. Secondo i dati forniti nel 2021 da Enzo Mengoni, Associazione Nazionale Panificatori, in Italia ci sono 24.000 panifici. Dati che dimostrano che i panifici continuano a chiudere. Il mantenimento dei panifici artigianali non è aiutato dal continuo aumento del pane, che nell’ultimo anno, in alcune località, è cresciuto fino a 12 euro al chilo.

Al di là del discorso economico e sociale, la scomparsa dei panifici rappresenta un cambiamento che influisce sul nostro rapporto con il cibo. In Italia molte tipologie di pane hanno ottenuto la Dop o l’IGP in considerazione del fatto che rappresentano a pieno titolo un territorio. La loro possibile scomparsa è una perdita economica, ma anche culturale!

Se questa tendenza non viene fermata si corre il rischio di perdere un alimento sano e nutriente, ma anche un pezzo della nostra storia. Perdiamo cultura, patrimonio e luoghi di socializzazione e di convivialità. E la politica? Tace, dimenticando la sua funzione. Certo, non esistono formule magiche per salvare un settore di produzione, ma il compito della politica è quello di cercare di costruire strade percorribili per la costruzione di un futuro migliore, in nome dell’inclusività e della difesa del patrimonio culturale. Aspettando che la politica si svegli dal suo sonno, noi consumatori che cosa possiamo fare? Possaiamo comprare e consumare più pane, premiando l’artigiano che lo produce meglio e accettando di acquistarlo ad un prezzo equo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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One Comment

  1. Solo l’estero può aiutare l’Italia con il pane in primo luogo e poi con il lavoro
    Gli italiani che si vogliono salvare si devono staccare da questo bastimento di nome Italia, altrimenti affondandano
    C’è troppa corruzione in Italia e si parla troppo, non che i fatti sono lontani, ma direi di più in positivo non esistono proprio
    I politici sono stati tutti come vipere o iene
    Non meritava l’Italia tutto questo
    Oltre la mancanza di rispetto per il popolo presente,anche una mancanza di rispetto nei confronti di quanti nel passato hanno fatto diventare grande l’Italia nel mondo-nessuno è stato capace come loro
    Loro non si vergognano perché hanno SOLO interesse, la vergogna è nostra dovunque andiamo nel mondo-
    Ci hanno rubato tutto incluso la dignità-un gioco diabolico e schifoso, si sono venduti l’Italia
    Ma io credo che quello che l’uomo semina quello raccoglie
    Quando si guadagna facendo male si perde facile, prima di tutto la felicità è la pace

Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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