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La storia dell’aperitivo italiano? Risale all’epoca greco-romana

Credevi che l’aperitivo fosse un rito moderno? Ebbene no, risale all’epoca greco-romana

Oggi l’aperitivo italiano è un rito amato da tutti, ma quando nacque? La storia dell’aperitivo italiano ha inizio in un tempo lontano, in epoca greco-romana. E la sua storia dimostra quanto fosse lontano da un abitudine che spesso è diventato vittima delle mode e delle logiche dell’industria più attenta al vil denaro che alla qualità e alla cultura di ciò che c’è nel bicchiere.

La storia dell’aperitivo italiano: ecco quando nacque

La storia dell’aperitivo italiano affonda le sue radici in epoca greco-romana. Nell’antichità l’aperitivo prevedeva l’offerta di vini ippocratici, ovvero vini medicinali speziati, realizzati con le erbe e resi dolci dall’aggiunta del miele. Il nome di vini ippocratici rimanda senza ombra di dubbio ad Ippocrate, il padre della medicina occidentale.

Nell’antica Grecia si riteneva che queste bevande tonificanti avessero effetti benefici sulla salute dell’uomo, in particolare sulla digestione. In effetti contenevano piante quali la ruta, l’assenzio, i fiori di dittamo, tutte piante usate in medicina, per aprire lo stomaco e aiutare ad affrontare gli sbalzi d’umore.

La storia dell’aperitivo italiano inizia con l’erboristeria

la storia di Braulio: 4 erbe e le altre segretissime

Il termine aperitivo, come suggerisce la Treccani, deriva dal latino aperitivus, termine che letteralmente significa «che apre le vie per l’eliminazione». Nell’età moderna si rafforza il credo che i vini ippocratici aiutino le attività dello stomaco per la presenza di erbe amare.

Ricordiamo a tal proposito che la cultura popolare italiana è contadina, per cui le piante e l’erboristeria hanno sempre occupato un posto importante nella medicina popolare. Da sempre si è ritenuto che l’amaro producesse calore e che il caldo facesse bene allo stomaco. Un’immagine che funziona ancora oggi, come testimoniano i claim di tante pubblicità. Del resto a creare amari, come ad esempio il Braulio, sono sempre stati farmacisti o erboristi.

Quando l’aperitivo italiano si trasforma un momento gioioso

Secondo l’esperto di mixologia Fulvio Piccinino l’antesignano dell’aperitivo moderno è la  merenda sinoira, ovvero lo spuntino che prevede più piattini prima di cenare.

La data storica è il 1786. A Torino i titolari di una bottega di liquori,  Antonio e Benedetto Carpano, codificano la ricetta del vermouth rosso, discendente degli antichi vini ippocratici. Un vino all’artemisia aromatizzato con vaniglia, caramello e zafferano che piacque molto ai Savoia.

Fu Vittorio Emanuele III a chiamare Punto e Mes il Vermouth con China Carpano, l’aperitivo apprezzato a corte. Una proposta davvero democratica che ha saputo mixare  i gusti popolari con i gusti aristocratici, tanto che il Punto e Mes veniva servito nei caffè della città sabaudo accompagnato da formaggi, salumi e la piemontese bagna càuda.

La seconda rivoluzione dell’aperitivo all’italiana

la storia dell'aperitivo

La seconda rivoluzione avviene con il bitter Campari, creato da Gaspare Campari con una ricetta ancor oggi segreta. Il tutto avviene in un piccolo bar di Novara, anche se il Campari divenne presto il simbolo di Milano. Rilevante fu poi la creazione del Negroni.

La ricetta del Negroni

Qual è la ricetta del Negroni? Oggi ne esistono diverse varianti, ma quella vera prevede un terzo di Campari, un terzo di vermouth rosso e un terzo di gin.

La capitale dell’aperitivo?

Milano diventa ben presto la capitale degli aperitivi grazie ad aziende quali Fernet – Branca, Zucca e Ramazzotti. Spesso queste bevande erano però bevute lisce, pochi erano quelli che chiedevano i cocktail che pure si conoscevano.

Quando si inizia a parlare di cocktail

Si comincia a parlare di cocktail all’inizio dell’800. Nel 1805 sul Balance and Repository di Houston compare la definizione “bevanda stimolante composta da superalcolici di vario tipo, zucchero, acqua e amari”. Letteralmente cocktail significa “coda di gallo”. Perché questo nome? Forse perché erano colorati? O perché i nobili non sapendo come trascorrere le ore della giornata li mescolavano con le penne del povero gallo?

La storia del Negroni e il successo dell’aperitivo all’italiana

happy hour

Il successo dell’aperitivo all’italiana risale alla seconda metà del 900. Chi non ricorda la Milano da bere? Erano gli anni delle sperimentazioni nella mixology. Negli anni 90 il bartender Vinicio Valdo inventa l’aperitivo alla milanese, che prevede di accompagnare il cocktail con qualche piattino da condividere con gli amici. Ciò che è accolto con favore è che non vi sia sovrapprezzo. Così nasce l’happy hour. Spesso però i prezzi popolari giustificavano la scarsa qualità del cocktail.

…e poi arrivò il Covid

Il Covid ha cambiato improvvisamente gli scenari. I locali sono stati chiusi per due anni. Gli italiani hanno continuato a bere a casa, a studiare come prepararsi ottimi cocktail.  E così oggi sembra vincere la ricerca della qualità. Negli ultimi anni si è cominciato anche a servire il cocktail a tutto pasto. Una tendenza che sembra avere sempre più successo.

Quale cambiamento famelico auspichiamo

La liberazione dalla semplice bevuta. Cosa vorrermmo? Ripartire dal valore culturale del cibo e del bere, recuperando la nostra tradizione che ci lega al mondo delle erbe. Perché non recuperiamo la saggezza popolare che vedeva nelle erbe la cura del corpo e dell’anima? Perchè non recuperiamo la storia dell’aperitivo italiano?

 

 

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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