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Bormio: come si crea un liquore alpino. La storia di Braulio

Il drammaturgo irlandese Oliver Goldsmith scriveva: “Lascia che siano i professori a scervellarsi con la grammatica, le assurdità e lo studio; io sostengo fermamente che un buon liquore dona genialità e un miglior discernimento”. É il pensiero che ti folgora se assaggi un buon amaro fatto con una miscela di erbe, il più delle volte misterioso. Mentre lo assaggi, non puoi evitare di pensare che in quel bicchiere sia racchiuso un sapere alchemico perfezionato da monaci e farmacisti. Dunque? Grande rispetto per chi ci permette di concludere nel modo migliore un pranzo!

La storia di Braulio: l'amaro alpino

Gli amari sono il sapore di un territorio, il rispetto della tradizione e il simbolo dell’imperitura ricerca dell’elisir di lunga vita. L’amaro mette d’accordo generazioni lontane tra loro, spesso incapaci di comprendersi.
E allora un viaggio a Bormio per visitare la cantina dell’Amaro Braulio è imperdibile.

Prima di andare in cantina ho degustato al Panoramic Restaurant Heaven 3000 le specialità valtellinesi- dalla bresaola agli sciatt fino ai pizzoccheri. La cornice? Un’innevata Bormio 3000.

La storia di braulio e i prodotti enogastronomici della valtellina

La storia di Braulio

Nel 1875 a Bormio il farmacista Francesco Peloni, appassionato di montagna e di erbe officinali, creò un amaro miscelando erbe aromatiche, bacche e radici raccolte alle pendici del Monte Braulio, da cui l’amaro prende il nome. Le erbe utilizzate sono 13, ma quelli conosciuti sono solo 4: assenzio, achillea moscata, radici di genziana e bacche di ginepro. La lavorazione prevede una fase di essiccazione, una di macerazione nello zucchero e nell’alcool per un mese e due anni di invecchiamento in botti di rovere. La ricetta, segretissima, fu subito un successo. I medici la consigliavano, a fine pasto, come corroborante e come tonico.

la storia di Braulio: 4 erbe e le altre segretissime

Una cantina, nel centro storico di Bormio, tra via Roma e vicolo Vittorio Veneto, custodisce in botti di rovere veneto l’amaro alpino più conosciuto d’Italia. Mi accompagna nella visita Edoardo, l’erede del patron del Braulio Egidio Tarantola Peloni, recentemente scomparso.

La storia di Braulio: la cantina a Bormio

La cantina è stata da poco ampliata: si sono guadagnati 1.650 mq con l’aggiunta di 166 botti di rovere di Slavonia. Edoardo è il depositario della segretissima ricetta tramandata da padre in figlio. Le erbe, dopo essere state lasciate ad essiccare all’aria aperta di montagna e pressate in un mortaio, sono lasciate in infusione a freddo in acqua sorgente e alcol per 20-30 giorni, si aggiunge lo zucchero per dolcificare e il caramello bruciato per raggiungere quel colore che rende il Braulio riconoscibile a tutti. Si procede successivamente all’invecchiamento in botte: 15 mesi per la versione “classica”, 24 per quella Braulio Riserva. Poi l’amaro è trasferito in serbatoi refrigerati a -9 gradi, filtrato e imbottigliato negli stabilimenti piemontesi di Campari.

L’ultima tendenza? Oltre che berlo come digestivo, assaporarlo come aperitivo con un cubetto di ghiaccio.

la storia di Braulio: un amaro invecchiato

Cantina Braulio

Via Roma, 27

23032 Bormio SO

www.braulio.it

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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