Il 27 gennaio è la Giornata della Memoria, la giornata in cui si ricordano le vittime del nazismo, lo sterminio degli ebrei e il dramma dei deportati nei lager. Il nazismo, come tutte le forme di dittatura, mira alla privazione dell’identità. Il cibo, nutrimento del corpo ma anche dell’anima, assume in tale processo di annientamento un ruolo importante. Se l’aguzzino limita il cibo,la vittima quale rapporto instaura con tale privazione?
Famelici riflette sulla Giornata della Memoria per non dimenticare
Il cibo nei campi di prigionia, nei lager
Il cibo nei lager era un’ossessione. Si viveva nella speranza di poter raccogliere qualche buccia di patata, di trovare qualche avanzo per vincere i morsi della fame. Tutto era razionato. Il pane era distribuito per gruppi di persone. La sua divisione era una sorta di cerimonia, che prevedeva la distribuzione di circa 10 porzioni. Il capogruppo divideva il pane usando una striscia di carta per assicurare una ripartizione equa. Quando il coltello affondava nella crosta, tutti controllavano il gesto di chi si era assunto una grande responsabilità che si basava sulla piena fiducia accordata per la spartizione del cibo. Spesso le briciole rimaste sul tavolo venivano raccolte in un sacchetto e concesse a chi pativa maggiormente la scarsa alimentazione. Il cibo era fame, ma anche sogno, simbolo di resistenza e di mantenimento della dignità.
Diari, lettere testimonianze di come il cibo rappresentasse anche la speranza di tornare a vivere
Come ricorda Iginio Bersani, nel suo diario, nei campi di prigionia si era portati a “non sapere parlare di altro che di piatti di cucina, sempre piatti di cucina, ad ogni ora e a ogni condizione!”. Parlare, scrivere, sognare di cibo non era solo il rimpianto per una vita perduta, ma esprimeva il desiderio, la speranza di poter ritornare a vivere una vita serena. Numerosi sono i diari, le lettere di deportati che riportano in modo maniacale ricette e consigli per la loro realizzazione. Avveniva quell’elaborazione psicologica che sta alla base di molte feste popolari, come ad esempio il Carnevale.
Cibo, tempo, sogno nei campi di concentramento
Attraverso l’evasione, l’immaginazione, lo sfuggire alle regole si esorcizza la dura realtà quotidiana. Inoltre la detenzione in uno spazio angusto tendeva ad annullare la nozione di tempo biologico, costringendo il prigioniero alla monotonia dello scorrere di ore sempre identiche a se stesse. Sognare il cibo era un modo per impossessarsi del tempo, godendo di un “prima” e di un “dopo”, che offriva anche la possibilità di ricordare lieti momenti conviviali. In particolare lo scrivere ricette era un modo di recuperare quell’ identità culturale, che ogni tirannia vuole distruggere. Un ricettario è un modo per conservare la memoria e l’immaginazione. In un campo di prigionia immaginare significa riappropriarsi di una realtà negata e di credere possibile un futuro dove ritrovare la dignità umana.
Garcia Marquez: l’illusione non si mangia, ma alimenta
Per ricordare la Giornata della Memoria e il valore simbolico assunto dal cibo potevo scegliere di proporre alla vostra riflessione molti testi che parlano direttamente o indirettamente dell’Olocausto. Ho voluto, invece, fare una scelta diversa, apparentemente priva di un legame razionale. Ho scelto di suggerirvi un autore come Gabriel Garcia Marquez, il fautore del realismo magico. Nel libro “Nessuno scrive al colonnello”, un racconto amaro in cui il lettore è accompagnato a conoscere il significato della miseria, lo scrittore colombiano riflette sul rapporto miseria e dignità umana. In un villaggio tropicale un colonnello, ex veterano della Guerra dei Mille Giorni, aspetta da anni la sua pensione.
Il valore simbolico del cibo nel romanzo “Nessuno scrive al colonnello”
Ogni venerdì si reca all’ufficio postale in attesa di ricevere la tanto attesa comunicazione, ma la risposta dell’impiegato è inequivocabile: “nessuno scrive al colonnello”. Non gli resta, deluso, che tornare a casa, dove l’aspetta una moglie malata e un gallo da combattimento, lasciato in eredità dal figlio ucciso dalla polizia mentre distribuiva stampa clandestina. Il gallo sottrae cibo ad una coppia stremata dalla fame, per cui un giorno decidono di venderlo all’uomo più corrotto del paese. Ma alla fine il colonnello ci ripensa.
Il cibo metafora della speranza che la vita possa cambiare
Alla moglie che sentenzia: “l’illusione non si mangia”, il marito risponde prontamente: “l’illusione non si mangia, ma alimenta”. Meglio credere che un giorno la tanto attesa pensione arriverà ristabilendo quella giustizia per cui il colonnello aveva combattuto, che tradire i propri ideali, che rendono un uomo degno di essere tale.
Il cibo è un diritto fondamentale senza il quale non c’è vita dignitosa
Il cibo è simbolo della fame primitiva, dell’impossibilità di realizzare una vita degna di essere vissuta, qualora non vengano garantiti i diritti fondamentali. Il cibo è un’utopia, la fame va costantemente esorcizzata. “Il colonnello aprì il barattolo del caffè e si accorse che ne era rimasto appena un cucchiaino. Tolse il pentolino dal focolare, rovesciò metà dell’acqua sul pavimento di terra battuta, e con un coltello raschiò l’interno del barattolo sul pentolino finchè si distaccarono gli ultimi rimasugli di polvere di caffè mista a ruggine di latta…Sua moglie alzò la zanzariera… “E tu”,disse. “L’ho già preso”, mentì il colonnello.
Il colonnello, nonostante la miseria, non vuole perdere la speranza, consapevole che la vita sia un bene da difendere a tutti i costi.
Ecco perchè i regimi totalitari affamano il popolo
Non solo: la vita è degna di essere vissuta quando ci sono le condizioni indispensabili per conservare la propria dignità. Il cibo, alimento del corpo e dell’anima, è fondamentale nel processo di costruzione e di mantenimento della propria essenza umana ed è proprio per questo che i regimi totalitari affamano le persone. Un’arma utilizzata dalle vittime per resistere è: sognare il cibo.
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