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Cibo è potere: come sfamare un dittatore. 5 cuochi per 5 tiranni

Witold Szabłowski, autore di ‘Come sfamare un dittatore’, ci racconta i dittatori a tavola: da Saddam Hussein a Pol Pot

Il libro di Witold Szabłowski racconta cinque tiranni che hanno insanguinato quattro continenti attraverso lo strano rapporto instaurato con i loro cuochi. Cibo è potere!

Che il cibo sia potere, lo dimostrano le storie dei cuochi dei dittatori. Ma chi sono gli chef? Anime belle o loro stessi personaggi con molti lati oscuri? Cosa condividono con i loro padri padroni? E se fossero le sole persone con cui i tiranni sono stati sinceri?

Witold Szabłowski, autorevole giornalista e scrittore polacco, autore di ‘Come sfamare un dittatore’, ci conferma che cibo è potere. Essere il cuoco di un dittatore, ottenuta la sua incondizionata fiducia, regala soldi, donne e tanti amici (interessati!).

Un libro che illustra come un menu il rapporto cibo – potere

cibo è potere

La dote necessaria, oltre quella culinaria, per diventare il cuoco di un tiranno? Parlare poco. Non sappiamo come abbia fatto a intervistarli, ma Witold Szabłowski è riuscito a intervistare i cuochi di ben cinque spietati dittatori che hanno fatto la storia del 900. Ecco i loro nomi: Saddam Hussein, Enver Hohxa, Idi Amin, Fidel Castro e Pol Pot. Ma i veri protagonisti di  ‘Come sfamare un dittatore’ sono i cuochi Odera, Abu Alì, il Signor K., Erasmo, Flores (degli ultimi due i cognomi non sono rivelati) e Yong Moeun.

Il libro si sviluppa come un menu:

  • colazione in Iraq con Saddam Hussein 
  • pranzo in Albania con Enver Hoxha
  • lunch in Uganda con Idi Amin Dada
  • cena a Cuba con Fidel Castro
  • dessert in Cambogia con Pol Pot

La distribuzione del cibo e la nascita della politica

Studiare le origini del potere non è semplice. Deve essere esistito un tempo in cui qualcuno si è arrogato l’autorità di decidere a chi e quanto cibo distribuire. Esercitando questa facoltà, veniva decretata la vita o la morte di intere classi sociali. Il cibo diventa così un’utile lettura per comprendere come si è sviluppato il discorso politico.

Cibo è potere: la politica vista dalla porta della cucina

Noi siamo ciò che mangiamo, ma anche il nostro agire politico non si separa dal cibo. Per Claude Lévi-Strauss la nostra civiltà e la nostra cultura nascono con la distinzione tra crudo e cotto

Il libro di Witold Szabłowski non aggiunge nulla alle pagine di storia, ma ci rivela come il cibo abbia piu facce e diverse letture. Le pagine del racconto del giornalista polacco ci confermano soprattutto che cibo è potere. E il cuoco chi è? Un uomo innocente che mette al servizio di un potente le sue capacità culinarie o lui stesso un uomo con un lato oscuro? Dopotutto lo chef Anthony Bourdain, diventato famoso per il suo bestseller Kitchen Confidential: Adventures in the Culinary Underbelly, sosteneva che lo chef nella realtà non era altro che un avanzo di galera.

Bourdain di se stesso scriveva: “Se ho tradito qualcuno nel mio mestiere, sono i miei cuochi, che sento di aver abbandonato, mentre svolazzo in giro per il mondo smerciando i miei libri in televisione. (…) Sono diventato il tipo di chef che ho sempre odiato quando ero un cuoco, che sta sempre tornando o partendo in direzione di un posto che non è il suo. Le mie mani, di cui ero tanto fiero, adesso sono morbide e dolci come quelle di una bambina. Faccio schifo”.

La cucina per capire come nasce un dittatore

come sfamare un dittatore

Chi cucina per un tiranno sa tutto di lui e sa che il dittatore non si aspetta da parte sua alcun consiglio, ma solo fedeltà. Il cuoco si trasforma in una sorta di figura materna protettiva. Mantiene in vita il tiranno offrendogli quel cibo che è nutrimento e linfa per la conservazione del potere.

Saddam Hussein, ovvero l’imprevidibilità

Il cuoco vive nel terrore, sa che la sua vita è legata a un filo. Così lo chef del dittatore iracheno Saddam Hussein temeva l‘imprevedibilità di un tiranno che era convinto che occorresse riempire le pance degli iracheni. Chi non ha fame, non fa le rivoluzioni!

Enver Hoxha, ovvero la ricerca della perfezione

Il dittatore albanese Enver Hoxha non si fidava di nessuno. Se si voleva continuare a vivere, dovevi prenderti cura di ogni frase che pronunciavi. Ad Hoxha piacevano i cibi che gli ricordavano l’infanzia, i piatti cucinati dalla madre. Il suo cuoco deveva richiamarne l’immagine e i sapori.

Amin, ovvero l’impersonificazione della crudeltà

Il cuoco del dittatore ugandese Amin, tristemente famoso per aver gettato gli oppositori in pasto ai coccodrilli, teneva in pugno chi lavorava con lui mettendolo nella condizione di non poter vivere senza il suo appoggio economico.

Amin, un leader nato ma privo di cultura, non voleva conoscere le opinioni del suo cuoco, voleva solo mangiar bene (la fame fa impazzire”) e che non lo avvelenasse. A sua volta lo chef doveva saper anticipare i suoi desideri e per farlo in cucina si trasformava lui stesso in un vero dittatore.

Fidel Castro, ovvero il tradimento della rivoluzione

cibo è potere

Il dittatore cubano Fidel Castro adorava tutti i prodotti caseari, dai formaggi al gelato (era capace anche di mangiarne 20 palline!) fino al latte fresco. Promosse una Rivoluzione Culinaria, ripromettendosi d’insegnare al popolo anche come mangiare. Quando l’Unione Sovietica tagliò gli aiuti a Cuba e l’embargo americano divenne insostenibile, l’isola del Centro America conobbe la fame.

A Cuba si raccontava la seguente freddura: i successi della Rivoluzione?  La medicina, la scuola, lo sport. I tre fallimenti? La colazione, il pranzo, la cena.

Di tutti i dittatori narrati da Witold Szabłowski, Castro è quello ricordato con più indulgenza. Il cuoco lo ricorda con affetto, arrivando a dire che Fidel fosse la sua vita. A proposito: Che Guevara impazziva per i fagioli neri. Era capace di mangiarsene un’intera ciotola!

Pol Pot, ovvero la ricerca dell’autosufficienza

Pol Pot, chiamato Fratello Materasso per le sue capacità di mediazione, provvisto di un grande senso dell’umorismo, doveva far fronte alle bombe sganciate dagli americani chiamate in codice Menu. Nell’ambito dell’operazione Menu furono lanciate quasi 110.00 tonnellate di bombe.

I khmer rossi usavano la fame per mantenere la disciplina. L’unico pensiero era mangiare e quando il cibo era distribuito si creava uno stato di felicità. Il segreto di Pol Pot? Amava più il cibo straniero che cambogiano.

Il fil rouge lega le storie del rapporto tra dittatori e cuochi?

Il rapporto con l’infanzia, al cibo che mangiavano quando erano bambini. È solo un caso poi che molti politici vantino parenti cuochi? È casuale che l’attuale zar della Russia, Vladimir Putin, sia nipote di un cuoco (interessante a questo proposito il libro di Carrerè Limonov). E che Yevgeny Prigozhin possedesse dei ristoranti? Ma soprattutto dove si sono conosciuti i due amici, diventati successivamente nemici? In un ristorante.

Attenti al cuoco: morti celebri  con la complicità del cibo

Socrate muore ingerendo cicuta. William Shakespeare, si racconta, sia morto in una notte d’inverno dopo aver mangiato e bevuto troppo. La morte di Papa Clemente II è avvolta nel mistero, ma le solite voci di corridoio, hanno parlato di avvelemìnamento. Il medesimo mistero avvolge la morte, dopo solo 33 giorni di pontificato, di papa Giovanni Paolo I. Non manca chi sostiene che Francesco, per paura di essere avvelenato, dorma e mangi presso la Domus Sanctae Marthae, evitando Palazzo Apostolico.

La morte per avvelenamento nel cinema

Il filo nascosto, moda, cibo e sesso

Due film per tutti: Il filo nascosto e Il nome della rosa. Nel bel film Il filo nascosto (2017) di Paul Thomas Anderson, Vicky Krieps (Alma) cucina una saporita cena a base di funghi velenosi a Daniel Day-Lewis (Reynolds), decretando la fine di una relazione tossica. Un veleno centellinato con maestria. “Non morirai.Ti voglio inerme. Sottomesso. Poi di nuovo forte ma eternamente mio”.

Il cibo aveva inizialmente unito Alma e Reynolds: le colazioni, la lacrima di vino usato per cancellare il rossetto. Solo un piatto poteva evitare la parola fine a una storia che ammetteva un solo vincitore.Un piatto avvelenato, dove il cibo si trasforma da gioco in un campo di battaglia per una lotta fino all’ultimo sangue.

Il Nome della rosa e la difesa del potere della Chiesa

il nome della rosa

Il film di Jean-Jacques Annaud del 1986 riesce a mantenere l’ironia anticlericale di Umberto Eco. ll racconto ha un andamento da thriller ricco di suspence. Tutto ruota intorno alla misteriosa morte di sette fratelli benedettini in sette giorni. Al centro delle misteriose morti c’è un antico libro che qualcuno non vuole che sia letto. Si tratta del secondo libro della Poetica di Aristotele, dove lil filosofo greco vede il “ridere” in termini positivi.

Jorge da Burgos, un vecchio frate cieco, lo considera un libro eversivo che potrebbe mettere in discussione le fondamenta della religione cristiama. Per evitare la sua lettura, cosparge le pagine di un veleno mortale. Purtroppo il libro, durante una lite, viene distrutto in un incendio che distrugge la biblioteca e l’abbazia. E, oer molti, il potere della Chiesa è salvo.

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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