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Ristorante Piccolo Lago: filosofia e lussuria. L’intervista a Marco Sacco

A volte ti accade di vivere esperienze indimenticabili. Nel mio caso poter intervistare lo chef bistellato Marco Sacco. Seduti al tavolo del Ristorante Piccolo Lago, davanti a una coppa di champagne, abbiamo l’occasione di parlare del suo nuovo menu, che in realtà è un progetto, un modo di intendere la cucina.

Oggi si discute molto dell’importanza rispetto alla libera circolazione delle persone e delle idee. La paura sembra spingere alla costruzione di nuove barriere fisiche e culturali, ma la cucina non è contaminazione?

“Assolutamente sì. Non puoi essere un buon cuoco se non sei una spugna. Devi viaggiare, essere curioso, studiare, devi assorbire tutto per farlo tuo e reinterpretarlo. É importante il confronto tra colleghi, solo così accresci la tua cultura, contribuisci a costruire nuove visioni”.

Come si posiziona la cucina italiana nel contesto internazionale?

“Per la nostra proposta enogastronomica è un momento importantissimo. É fortissima l’attenzione nei confronti dei nostri prodotti e delle nostre proposte culinarie. Certo non abbiamo ancora raggiunto la notorietà e il rispetto della cucina francese, ma stiamo facendo passi da gigante. Finalmente cominciamo a capire quanto sia importante collaborare e lavorare in team. Oggi aziende produttrici e ristoratori lavorano in modo sinergico: fare conoscere gli ingredienti italiani e la nostra cucina, facendo sistema, significa fare crescere un intero comparto economico”.

La ristorazione, il turismo potrebbero aiutare l’Italia a uscire da una crisi economica che ormai si prolunga da anni?

“Sono una carta vincente che i nostri politici dovrebbero giocare, imponendo all’Europa scelte che non ci danneggino. Dobbiamo cambiare politica agricola e soprattutto aumentare gli investimenti in un settore che spesso non è stato aiutato a crescere. Dobbiamo sfruttare maggiormente le possibilità che la nostra terra ci offre”.

Come definisci la  cucina che proponi al Ristorante Piccolo Lago?

“Una cucina fatta di sapori locali con uno sguardo alla cucina degli altri popoli. Lo chef stellato deve azzardare, deve creare piatti che possono anche lasciare perplessi.  La differenza la fa l’abilità, la tecnica, la conoscenza, la capacità di comunicare. Può sembrare paradossale ma il lavoro di un cuoco stellato è quello di recuperare le tradizioni, spesso sono patrimonio culturale individuale e collettivo, per proporle in modo innovativo. Si deve osare, non si deve avere paura.Cuore e ragione, l'ultima provocazione dello chef Marco sacco, patron del Ristorante Piccolo Lago Il mio nuovo piatto, proposto al Ristorante Piccolo Lago, “Cuore e Cervello” esprime proprio quello che ti sto raccontando. La mia provocazione riprende ingredienti oggi poco conosciuti o apprezzati, in grado di esprimere la filosofia contadina “del non si butta via niente”, vuole fare riemergere un antico passato vissuto o conosciuto attraverso i racconti dei nonni, desidera imporre una riflessione sull’importanza di ragione e sentimento. Come vedi, non è solo un piatto, è una provocazione culturale, un tentativo di rendere attuale un passato che rischia di essere dimenticato. Una scelta estremista, ma di certo coraggiosa e ragionata!”

Quale è il ruolo di uno chef stellato nei confronti della crescita culturale rispetto al cibo?

“Gli chef stellati hanno una grande responsabilità nel far sì che anche la ristorazione di massa proponga una cucina sempre più sana, più rispettosa dell’ambiente e delle diverse identità culturali. Noi abbiamo la possibilità di imporre una riflessione su che cosa significhi ricercare il prodotto eccellente, su come è necessario lavorarlo per esaltarne le proprietà. Le nostre interviste aiutano a fare crescere l’attenzione e di conseguenza la cultura del cibo. Lo stesso McDonalds ha dovuto cambiare menu per evitare di perdere clienti. Gli stellati hanno avuto il merito di alzare il livello qualitativo della ristorazione”.

Nei tuoi menù solo piatti innovativi?

Pane e cioccolato di Marco Sacco del ristorante Piccolo Lago

“Assolutamente no. Al Ristorante Piccolo Lago si trovano alternati piatti creativi e piatti maggiormente legati alla tradizione. Nel nuovo menu trovi l’azzardo “Cuore e cervello”, ma anche una proposta semplice che ci riporta all’infanzia: pane e cioccolato. Un dolce che ricorda la merenda di quando ero bambino, quando godevi ogni attimo della tua vita, senza porti troppe domande. Ho rielaborato un ricordo incancellabile, di un’età che non ritorna più. Gli ingredienti? Copertura e mousse di cioccolato, brownies, yogurt di alpeggio e dadini di pera”.

I tuoi menu presentano spesso suggestioni orientali?

“L’Oriente  esprime una cultura millenaria, ricca di spunti interessanti. L’Asia è un’area assai popolata e laddove vivono molte persone la creatività, l’ingegnosità  si sviluppano con più facilità”.

Parliamo della figura di Massimo Bottura. C’è chi apprezza la sua esposizione mediatica, chi comincia a criticarla. Tu che cosa ne pensi?

Massimo Bottura è uno chef, come mio padre. Se mio padre 50 anni fa avesse parlato di cucina, nessuno lo avrebbe ascoltato o intervistato. Oggi gli chef hanno conquistato un loro spazio, vengono raccolte le loro dichiarazioni, c’è rispetto per la loro professione. E questo è sicuramente importante per promuovere la ristorazione italiana”.

Ultima domanda: dove stai rivolgendo la tua curiosità?

“Sono andato recentemente a Cuba. Mi hanno particolarmente colpito le coltivazioni di tabacco”.

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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