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Mangia, fallo per mamma

Mangia, fallo per mamma. Pochi sono sfuggiti a questo tormentone. Una frase semplice, apparentemente amorevole, ma che in realtà nasconde sentimenti che preparano il terreno alla frustrazione. Famelici, in occasione del Giorno della Mamma, evitando le celebrazioni stucchevoli, lancia degli spunti per una riflessione sul rapporto dei figli con le madri.

La madre talvolta si trasforma da chi offre protezione e rassicurazione in una virago che ci chiede di rispondere alle sue aspettative, senza chiederci se le condividiamo. I sensi di colpa sono in agguato. La mamma non è quella persona le cui decisioni vanno rispettate e a cui voler bene incondizionatamente?

La sua figura è talmente irrinunciabile da diventare un modello che ricerchiamo in chi amiamo. Non solo: diventa il modello affettivo che replichiamo all’interno della coppia e nell’educazione dei figli. C’è anche chi rifiuta la maternità per evitare di cadere nella condanna della ripetizione degli errori che si riconoscono ma che si ha paura di non sapere evitare.

Dove si esprime spesso il “ricatto amoroso”? Nel valore che si attribuisce al cibo, nell’invito a mangiare o a limitare la propria fame. Spesso l’eccessiva attenzione materna verso la nutrizione nasconde il desiderio, più o meno consapevole, di continuare a interessarsi ai bisogni dei figli, dunque a controllarne la vita.

Mangia, fallo per mamma

Le nostre prime grandi delusioni nascono in famiglia. Vissuta come regno d’amore, nasconde le insidie di sentimenti contrastanti. Più che la paura del rifiuto si soffre per la consapevolezza di non essere capiti. Quando si rifiuta il cibo, la madre interviene spesso con una frase che allontana sempre di più, creando il baratro: “mangia, sforzati, che cosa ti manca per essere felice?”.

É nella famiglia che si sviluppa la conoscenza della parola che più temiamo: FALLIMENTO. É qui che ci scontriamo con la triste realtà che, nonostante la nostra consapevolezza di amare la nostra famiglia, non riusciamo a dimostrarlo e a sentirci ricambiati. Vorremmo evitare la sofferenza, ma questo difficilmente si può avverare. E allora la prima ferita, difficile da fare cicatrizzare, è la consapevolezza che la famiglia è la prima fonte di sofferenza psicologica. Tante volte per non elaborare il dolore provato da una verità che facciamo fatica ad accettare ci colpevolizziamo con la costruzione di sensi di colpa o ci autoassolviamo, sfuggendo alla realtà.

Il rapporto con la madre è un rapporto più complesso di quello che appare. Non è una bella favola, dove la mamma è buona, amorevole e i figli persone senza problemi, che possono vivere solo grazie all’amore materno. La madre non può essere l’eroe capace di distruggere tutti i cattivi, preservandoci dal dolore. Talvolta nel rapporto madre-figlio non c’è il lieto fine. La realtà si intromette nel sogno, la società giudica e ci obbliga spesso a giudicare.

É vero le favole sono belle, ci si vorrebbe credere anche da adulti, ma la loro magia svanisce presto quando si scontrano con la realtà. A tutti piacerebbe un rapporto idilliaco, sempre infantile con la propria madre. Purtroppo non è possibile, si cresce e allora si deve costruire una relazione che prevede il conflitto, la delusione, la consapevolezza della diversità. Talvolta bisogna accettare di ferire e di essere feriti. É il prendere coscienza che il mondo non è diviso tra essere buoni ed essere cattivi. Non esiste la perfezione, ma la ricerca di un equilibrio che ci faccia accettare la realtà, costruendo il migliore mondo possibile per sé e per gli altri.

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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