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Euriclea. La vice-madre, colei che nutre

A tutte le vice-madri. Alle madri supplenti. Alle zie qual io sono.
Per tutte le volte che vi siete sentite quasi-madri o più-che-madri, senza di fatto esserlo. Verso un nipote, un allievo, un reduce, un ospite.
Per voi, i versi eterni di Omero (o chi per lui, non è questo il momento di affrontare la questione) che dicono l’angoscia il sollievo il silenzio e l’amore di Euriclea, nutrice di Ulisse, nell’esatto momento in cui, con un tuffo al cuore, lo riconosce.
Potete leggere l’intero brano o soltanto i corsivi. Gaudete.

Buona Festa della Mamma, leggendo di Euriclea

E a lui di nuovo disse la saggia Penelope:
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– Ospite caro, mai uomo altrettanto prudente,
fra gli stranieri lontani, o più caro entrò in casa mia,
come tu con sapienza dici parole tutte prudenti;
ce l’ho, sì, una vecchia ricca in cuore di senno,
che quel misero curò e nutrì con amore,
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tra le sue mani l’accolse, appena lo partorì la madre;
questa i piedi ti laverà, benché ormai malridotta.
Alzati dunque, prudente Euriclea, un coetaneo
del tuo signore lava, e certo Odisseo,
ormai è così nelle gambe, così nelle braccia;
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in fretta nella sventura i mortali s’invecchiano.
Così parlava; e la vecchia nascose tra le mani la faccia,
lacrime calde versò. Parlò parola gemente:
– Ah che per te sono impotente, creatura! Ahi troppo Zeus
t’ha odiato fra gli uomini, benché pio di cuore.
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Certo nessun mortale a Zeus che scaglia la folgore
tante fiorenti cosce bruciò, tante scelte ecatombi,
quante tu gliene offrivi e pregavi di giungere
a dolce vecchiezza e crescere il figlio glorioso.
A te solo, invece, fu interamente distrutto il ritorno. […]
Ti laverò i piedi, sì, per Penelope
e anche per te, perché batte, dentro, il mio cuore
d’angoscia. Ah! Comprendi la parola che dico:
molti stranieri infelici e tapini qui giunsero,

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ma nessuno, ti dico, così somigliante a vedersi,
che tu, corpo, voce, piedi, somigli a Odisseo.

E rispondendole disse l’accorto Odisseo:
– O vecchia, così dicono quanti ci han visti con gli occhi
entrambi, che molto simili siamo fra noi,
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come tu appunto, che sei molto saggia, dichiari.
Così parlava; intanto la vecchia aveva preso il lebete lucente,
per lavare i suoi piedi, e in abbondanza versava
acqua fredda, poi aggiunse la calda; Odisseo
al focolare sedeva, ma verso il buio si volse di scatto;

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d’un tratto in cuore gli venne paura che ella toccandolo
la cicatrice riconoscesse; e tutto fosse scoperto.
Lei, dunque, lavava il suo re, standogli accanto: e davvero
la cicatrice conobbe, che gli fece un cinghiale con la candida zanna
quando al Parnaso salì, con Autòlico e i figli. […]

Ora la vecchia, toccando la cicatrice con le due mani aperte,
la riconobbe palpandola, e lasciò andare il piede.
Dentro il lebete cadde la gamba, risonò il bronzo
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e s’inclinò da una parte: in terra si sparse l’acqua.
A lei gioia e angoscia insieme presero il cuore, i suoi occhi
s’empiron di lacrime, la florida voce era stretta.
Carezzandogli il mento, disse a Odisseo:
– Oh sì, Odisseo tu sei, cara creatura! E non ti ho conosciuto

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prima d’averlo tutto palpato il mio re! …
Disse e a guardar Penelope si rivolse con gli occhi,
volendo dirle ch’era tornato il suo sposo.
Ma lei non poté vederla in viso né accorgersi,
perché Atena le distrasse la mente; e Odisseo
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la mano afferrò della vecchia, la strinse con la destra alla gola,
con l’altra la tirò a sé, le disse:
– Balia, perché mi vuoi perdere? Eppure tu m’hai nutrito
al tuo petto; e ora, dopo aver sopportato gran pene,
arrivo dopo vent’anni alla terra dei padri.

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Ma, giacché l’hai capito un dio te l’ha messo nel cuore,
taci, che nessun altro nel palazzo lo sappia.

Odissea, libro XIX, versione italiana di Rosa Calzecchi Onesti.

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