Il formaggio conquista sempre più gli italiani. Se un tempo i ristoranti proponevano un misero carrello dei formaggi per chi non amava i dolci, oggi sono sempre più le proposte di nicchia davvero squisite
Solo chi adora i formaggi, può capirmi. Per me non ci sono dubbi: il formaggio è il re della tavola del 2024. Parmigiano reggiano, mozzarella di bufala campana e stracchino di crescenza sono saliti l’anno scorso nell’ordine sul podio dei migliori 100 formaggi della classifica stilata da “Taste Atlas”. Ma soprattutto nel 2023 l’Italia ha vinto la storica sfida con i cugini francesi.
Confronto Italia- Francia: chi vince la sfida dei formaggi
Secondo l’Onaf – l’associazione nazionale degli assaggiatori – sono oltre 600 i formaggi certificati (Dop, Igp, Stg, Pat). Con gli ultimi riconoscimenti comunitari – ricorda la Coldiretti – salgono a 55 i formaggi a denominazione di origine protetta (Dop/Igp) italiani tutelati dall’Unione Europea, lo stesso numero di quelli francesi.
Il formaggio è il re della tavola del 2024
Da qualche anno è iniziata la caccia ai cosiddetti formaggi di nicchia. Gli italiani cercano negozi specializzati e si avventurano persino in montagna alla ricerca di malghe che producano ancora prodotti caseari di cui fino a qualche anno fa non si conosceva l’esistenza.
Il nuovo trend enogastronomico: la ricerca dei formaggi del territorio
Se ami andare alla ricerca dei formaggi e dei luoghi dove nascono, tappa imperdibile è, in Valtellina, Morbegno, conosciuta come la “città del formaggio”. La cittadina, che da oltre un secolo ospita la tradizionale Mostra del Bitto, vanta nel centro storico una delle sue botteghe più antiche: Ciapponi.
Si tratta di un autentico tempio del Bitto dove assaggiare le diverse stagionature di un formaggio “perenne” che può invecchiare fino a 10 anni. Un modo per scoprire quanto il tempo possa influire e rendere complesso un formaggio: in base alle diverse stagionature si passa dai sentori di latte ed erbe fresche (in fase giovane) a sentori di fieno maturo e di mandorla tostata con note di nocciola con il passare degli anni.
Imperdibile la visita del retrobottega dell’antica insegna, che nasconde un sorprendente susseguirsi di volte, colonne e celle ad alveare che si snodano nelle cantine con spazi in penombra, ospitando prelibatezze di ogni genere: dalle tisane alle marmellate fino a vini da wine lovers.
Il ritorno della marenda sinòira
La marenda sinòira o merenda sinòira è una tradizione piemontese, un pasto freddo, consumato intorno alle 17, piuttosto sostanzioso, tanto fa poter sostitire la cena. Era consumata nell’ 800 da contadini che avevano bisogno di recuperare le forze per il duro lavoro nei campi.
La marenda sinòira è un termine composto di un sostantivo (marenda) e di un aggettivo (sinòira). Marenda deriva dal gerundivo latino del verbo MĔREO che ibdica “qualcosa che deve essere meritato“. Sinòira, invece, deriva dell’aggettivo latino femminile CĒNĀTŎRIA ‘da pranzo/da cena’.
Era un momento di solidarietà dove i contadini mettevano in comune ciò che era dato dal padrone o da ciò che si procuravano da soli. Era un pasto povero, di recupero, ma che regalava allegria. In gerene era composta da sòma d’aj, la crosta di biova sfregata con l’aglio, un filo di olio e un pizzico di sale, dei fichi o dell’uva.
Il formaggio nella ristorazione: In origine era il carrello dei formaggi
Fino poco tempo fa fa erano pochi i ristoranti a proporre un carrello di formaggi ricco di proposte. D’altra parte, a concludere un prenzo o una cena con i formaggi, erano solo quei pochi clienti che non apprezavano i dolci. Oggi non è più così e lo dimostra una tendenza che si sta imponendo in tutto il mondo: il cheese bar, un locale dove degustare formaggi e acquistare i preferiti.
In Italia siamo agli inizi di un fenomeno che ha successo in Francia o in Spagna. All’estero i cheese bar sono locali che si distinguono per il loro ambiente moderno con un grande bancone dove a vista viene preparato, servito e raccontato il formaggio o dove è il protagonista indiscusso di una ricetta della tradizione o creativa.
…poi venne l’epoca del successo dei mozarella bar
Dal 2000 abbiamo assistito al fiorire in Italia di numerosi bar o ristoranti dedicati alla mozzarella. I“mozzarella bar”, ispirandosi ai Sushi Bar, proponevano in mille declinazioni uno dei formaggi più conosciuti e amati in Italia. Un esempio di successo è Obicà.
La case history Obicà
A Silvio Ursini venne l’idea di aprire un Mozzarella Bar durante un soggiorno a Tokyo. Quando vide per la prima volta un Sushi Bar, rimase affascinato dalla cura con cui il sushi master e i suoi collaboratori esponevano i filetti di pesce crudo e dall’abilità con cui li lavoravano per preparare i piatti. Il tutto nel rispetto della tradizione e sotto gli occhi dei clienti seduti al bancone. Perchè non proporre la medesima filosofia con un prodotto che ricordasse la cultura gastronomica italiana?
La scelta della mozzarella di Bufala Campana Dop
Silvio Ursini, tra i tanti ingredienti italiani, decise per la Mozzarella di Bufala Campana Dop. La scelta è ricaduta su tale prodotto per la sua storia, la sua bontà e per il fascino del lavoro del casaro, i cui gesti ricordavano i principi della disciplina Zen: il tiro con l’arco, la cerimonia del tè, l’Ikebana, l’ikigai, quella la teoria per cui avere uno scopo nella vita è la chiave per essere felici.
La rivoluzione Obicà
Nel 2004 Silvio Ursini aprì, con alcuni amici, il primo Mozzarella Bar al mondo, a Roma in via dei Prefetti 26. Il locale fu progettato in ferro naturale, legno e vetro e fu chiamato Obicà, ovvero Eccolo qua in dialetto napoletano.
L’intento era promuovere la cultura della mozzarella, proponendo la degustazione dei formaggi di diverse scuole: la casertana, l’aversana, la proposta di Battipaglia, Paestum, della Piana del Sele o della Pontina del Basso Lazio. Senza dimenticare l’Affumicata, la Burrata, la treccina, tutte con le loro diverse pezzature.
Ovviamente accanto alla mozzarella, trovavano posto altre eccellenze italiane, come il prosciutto e le verdure che servivano per creare antipasti, primi e secondi piatti, oltre che a ottimi dolci. Negli anni si è aggiunta, dopo un’accurata ricerca per selezionare le migliori farine, la pizza.
E oggi sono i cheese bar
I cheese bar sono locali con protagonista il formaggio degustato al naturale o proposto in ricette tradizionali e innovative
Oggi il successo dei formaggi, spinge alcuni imprenditori ad aprire cheese bar. Il consumatore da qualche anno cerca formaggi stagionati, con affinamenti originali, muffe, croste fiorite abbinati a vini e birre artigianali. Un ruolo fondamentale lo gioca l’allestimento della vetrina e la proposta di prodotti artigianali. Un esempio di un locale di gran successoè lo storico Le Claque-Fromage a Parigi.
E a casa va forte il tagliere del formaggio: come prepararlo
Partiamo dal tagliere
- In legno o pietra lavica (ardesia).
- Se in legno è meglio scegliere le essenze dure come la quercia, il noce, l’acacia, il faggio. Sono più resistenti e migliori sia a livello estetico che igienico.
- Meglio scegliere un legno non trattato
- L’ardesia è una scelta estetica: fa risaltare i colori chiari dei formaggi e quelli vivaci della frutta.
- Rcordarsi di mettere a disposizione, almeno, due coltelli, uno per i formaggi a pasta molle, uno per i formaggi più duri.
Come mettere i formaggi sul tagliere
- Disponi i formaggi in senso orario in base alla consistenza: dai formaggi a pasta molle per continuare con i semiduri e finire con quelli a pasta dura.
Taglio dei formaggi
- A seconda del tipo di formaggio è meglio fare un taglio diverso. I formaggi morbidi devono essere tagliati in fette triangolari, il Parmigiano Reggiano a scaglie e il formaggio di pecora e di capra va affettato.
- Vanno eliminate le croste non edibili.
- I formaggi rotondi vengono tagliati come una torta, l’emmenthal viene tagliato a fette, la pasta erborinata – come il Roquefort – a ventaglio per avere il cuore e la parte più soda del perimetro. Per il Mont d’Or fresco e cremoso, utilizzare due cucchiai, uno per servire, l’altro per spingere la quenelle al formaggio sul piatto, mantenendo la crosta se non è troppo spessa e raschiando bene i lati e fino al fondo della scatola
Quale coltello scegliere per tagliare il formaggio
- Per formaggi a pasta compatta: un coltello del manico rialzato rispetto alla lama.
- Per i formaggi a pasta morbida: un coltello piccolo, stretto, meglio con i buchi.
- Per i formaggi a pasta dura, come parmigiano o grana (dove si stacca un pezzo): i classici coltellini da parmigiano, o a mandorla, dalla forma a goccia.
- Per formaggi teneri con interno non compatto, con la tendenza a sbriciolarsi: il filo o il tagliere con incorporato il manico.
Ma non ci sarebbe il formaggio senza il casaro, chi è costui?
Non ci sarebbe formaggio senza casaro. Ma chi è il casaro? È colui che permette la produzione del formaggio. È chi attende l’arrivo del latte, ne studia le sue specificità e attraverso gesti sapienti lo fa diventare la forma di formaggio che viene poi venduta nei negozi specializzati e nei supermercati. È una professione che si impara con il tempo, affiancando i casari con maggiore esperienza.
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