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In nome di cibo e cultura: 3 vini bianchi del Piemonte da podio

Se dici Piemonte, dici vini rossi. Eppure i vini bianchi sono la storia del vino piemontese e oggi sono sempre più ricercati per combattere l’omologazione. In nome di cibo e cultura ve ne presentiamo tre: Gavi o Cortese di Gavi, Roero Arneis ed Erbaluce.

In nome di cibo e cultura: 3 vini bianchi del Piemonte da podio

Durante alcune masterclass organizzate durante la Milano Wine Week ho conosciuto dei vitigni che vi voglio fare scoprire anche dal punto di vista culturale.

Gavi o Cortese di Gavi, un bianco di classe

vini bianchi piemontesi: cortese

Ottenuto da uve Cortese, vanta una DOCG , che si estende su 11 comuni della parte meridionale della provincia d’Alessandria – Bosio, Carrosio, Capriata d’Orba, Francavilla Bisio, Gavi, Novi Ligure, Parodi Ligure, Pasturana, San Cristoforo, Serravalle Scrivia, Tassarolo. Per lungo tempo sotto il dominio di Genova, il territorio di Gavi era diventato sede di dimore di campagna di diverse famiglie nobili che spinsero alla produzione di vino per imbandire le loro tavole.

É un vino che possiede diverse sfumature a causa della diversa conformazione dei suoli. Si va dalle terre rosse originate dalla ferrettizzazione della ghiaia, alle terre bianche della zona a sud, con marne calcareo-argillose di origine marina.

Le prime testimonianze storiche della viticoltura nella zona di Gavi risalgono al 3 giugno 972. Un documento conservato nell’Archivio di Genova dà notizia dell’affitto a due cittadini di Gavi di vigne e castagneti da parte dell’Arcivescovo di Genova. Nel 1798 il Cortese entra nell’ampelografia (a disciplina che studia, identifica e classifica le varietà dei vitigni) moderna; nel 1888 entra nell’enciclopedia dei vini e nel 1924 nella guida dei Vini Tipici d’Italia.

É un vino fresco, elegante, raffinato, di grande mineralità e acidità. Giallo paglierino con riflessi verdi, presenta al naso sentori di fiori e di frutta fresca, con note di agrumi e mandorla amara. Si abbina al pesce, alle torte salate, alle carni bianche, ma anche alla cucina internazionale, in particolare al sushi e alla paella. Ottimo come aperitivo.

Roero Arneis, il vino amato da Veronelli

vini bianchi piemontesi: roero arneis

Un’altra proposta è nel Roero, alla sinistra del fiume Tanaro, dove si produce l’Arneis, il Nebbiolo delle sabbie. Le colline del Roero si sono impossessate delle acque del mare e questo spiega la presenza nel terreno di numerosi fossili e della componente sabbiosa.

Il nome Roero è il nome di una famiglia nobile astigiana dedita al commercio e al prestito del denaro. Più difficile l’etimologia di Arneis. Se per alcuni l’origine del termine va ricercata nel dialetto piemontese (l’espressione indica l’uomo bizzarro), per altri va ricercata nel tardo latino arnesius (utensile). Alcuni documenti attestano la presenza dell’Arneis nel Roero tra la fine del 400 e l’inizio del 500, dove viene nominato come “Reneysium” e “Ornesium”. Di nuovo lo troviamo in documenti storici del 1700 come uva di pregio da cui si ottiene un vino dolce.

L’Arneis è citato per la prima volta con il nome attuale in alcuni registri contabili dell’inizio dell’Ottocento, dove viene chiamato “bianco Arnesi”. Dopo la sua scomparsa determinata dalla filossera, dopo la crisi vitivinicola del 900, negli anni 60. La coltivazione era ridotta a pochi filari, in genere mantenuti per difendere uve considerate più pregiate dai famelici uccellini.

Solo l’affermarsi di un nuovo modo d’intendere il vino bianco, rinasce l’interesse per l’arneis.Le prime vinificazioni sono eroiche, ma incontrano il favore della critica. Luigi Veronelli scriveva: “fruttato, fresco e acido. Vibra come la coda di una vipera”. Poco dopo Mario Soldati lo definì: “profumatissimo ma di estremo garbo; non di frutta ma di fiore, con una fragranza amarognola, come di geranio. Un vino che non stanca”.

Un vitigno dalle uve assai profumate ma non aromatiche adatte per realizzare un grande bianco secco. In bocca è sapido, di media struttura, di buona persistenza, è in genere leggero, con sentori olfattivi appena erbacei e gusto che ricorda la mandorla. La sua delicata aromaticità rende la bevuta molto scorrevole ma non banale.

Erbaluce, il vino che riluce

vini bianchi piemontesi: erbaluce

Un’altra proposta interessante, che rimanda alla luminosità dei grappoli, è l’Erbaluce, vino autoctono del Canavese, il cui nome sembra trarre origine dall’espressione latina “Alba Lux”.

Celebre e spesso citato è il passo del 1600 di Giovan Battista Croce, gioielliere presso il duca Carlo Emanuele I: “Erbalus è una bianca così detta come alba perché biancheggiando risplende: ha li grani rotondi, folti e copiosi, ha il guscio o sia scorza dura: matura viene ristita e colorita e si mantiene in sui la pianta assai”. Un’uva prodotta soprattutto nella zona prealpina piemontese, diffusa in particolare nel Canavese e nell’area del lago di Viverone. Nel canavese si preferisce sistema di allevamento a pergola per proteggere l’uva dal sole. Il bouquet è delicato, fruttato, con sentori di fiori, erbe aromatiche, mandorle, tiglio, miele e rocce grazie al terreno morenico. Dopo 4-5 anni diventa un capolavoro, dove si percepiscano i gusti dell’ uvetta sultanina, dello zafferano, delle ginestre e del marzapane. Una complessità nobile e un vino facile ad abbinare ai piatti.

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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