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Il vino nato dagli studi del “filosofo agrario” Zierock: Castello degli Angeli

Cibo e cultura sono ben rappresentati dai vini proposti da Castello degli Angeli, azienda vinicola della provincia bergamasca. Castello degli AngeliUn’azienda  nata per la grande passione del suo proprietario, Mauro Taiariol,  che nel 1996, decise di sperimentare  ciò che sostiene il genio di un enologo tanto ardito quanto unico: Rainer Zierock, il “filosofo agrario”. Io ho incontrato l’enologa Vanessa Verdoni, che tra un assaggio e l’altro, accompagnato dalle proposte enogastronomiche dello chef Michele Lasco del Ristorante Barbariccia ricavato, mi ha spiegato il pensiero dell’enologo-filosofo Rainer Zierock, di cui non conoscevo le affascinanti idee. Un pensiero che mi ha fatto riconsiderare molte cose. Lo confesso: non sono mai stata una fanatica dell’estremizzazione, del ritorno a un passato che spesso demonizza il presente e le sue innovazioni tecnologiche. Sfuggo alle mode, all’omologazione culturale che condanna all’esilio chi esprime un giudizio personale. Se una proposta è trendy, guai a sollevare dei dubbi! E oggi se non parli bene dei vini biologici e dei vini naturali sei out.

Che cosa ho imparato durante la mia visita a Castello degli Angeli? Sperimenta, sperimenta senza pregiudizi!

Castello degli Angeli

Ho tantissimi difetti, ma un pregio: la curiosità. E la visita a Castello degli Angeli mi ha aperto nuovi orizzonti. Oltre al desiderio di leggere i testi del “filosofo-agrario” Rainer Zierock, ho scoperto un modo di approcciarsi al vino non convenzionale, rispettoso dell’indissolubile legame uomo-terra. Il tutto in un contesto davvero magico. Ma è ora di lasciare la parola a Vanessa Verdoni, enologa, grande appassionata di vini.

Partiamo dal racconto dell’esperienza vitivinicola di Castello degli Angeli

Ci racconti l’esperienza di Castello degli Angeli?

“Nel 2013 con Fabio Bigolin sono stata chiamata al Castello degli Angeli per dare continuità al progetto geniale e ambizioso intrapreso dall’imprenditore Mauro Taiariol e dal professore tedesco Rainer Zierock: il reimpianto di 1,8 ettari di vigneto per produrre vini rossi a lungo invecchiamento. Sui terrazzamenti contenuti dai muri a secco che circondano il castello, la vite è stata coltivata fin dalla fine del 1400, da quando l’originaria fortezza medievale divenne un monastero dell’ordine dei carmelitani. L’area è perfettamente esposta a sud, il suolo è magro e sciolto, l’acqua drena velocemente e le radici della vite, andando in profondità, si trovano nelle condizioni ottimali per il loro sviluppo. La collocazione del complesso produttivo è quella di un anfiteatro naturale protetto dalle montagne retrostanti. Nel 1996 Mauro Taiariol, grande appassionato di vino, trovò un perfetto alleato in Rainer Zierock,il “filosofo agrario”. Con coraggio insieme progettarono un vigneto estremo: un impianto a rittochino, una sistemazione agraria per cui le piante seguono le linee di massima pendenza, con una densità di impianto di 10.000 piante per ettaro e pendenze che raggiungono il 45 %. Si arrivò negli anni successivi ad avere una produzione di nicchia, circa 7.000 bottiglie all’anno, caratterizzata da una quasi maniacale ricerca della qualità. Piantarono varietà internazionali come Merlot e Cabernet Sauvignon che sono alla base della DOC Valcalepio, ma anche Syrah, Mourvedre e Petit Verdot. E poi Chardonnay, ma anche Viognier e Muscat Petit Grain. Quando ho iniziato a lavorare con Fabio. Il primo compito che abbiamo svolto al Castello è stato lo studio e l’interpretazione di tutti gli appunti lasciati dal professor Zierock per capire e carpire la sua filosofia. Cosa c’era e c’è alla base di un’idea, quale il progetto da seguire, come interpretare in modo conservativo ma anche innovativo il lavoro fatto. É stato un percorso molto appassionante, un’esperienza enologica unica e al di fuori di tutti gli schemi tradizionali, per noi un privilegio. Il nostro lavoro attuale, in sinergia con l’agronomo Giacomo Groppetti, inizia dalle scelte agronomiche volte a massimizzare la qualità delle uve: la potatura, i diradamenti e la scelta dell’epoca vendemmiale. La ricerca di una qualità intrinseca, cioè che appartiene al prodotto, al frutto, parte necessariamente dalla terra, dalla coltura e dall’esperienza agronomica. Tutto il processo produttivo segue un flusso lento e continuo: le tecniche di vinificazione rispettano al massimo la qualità dell’uva in modo da valorizzarne le peculiarità e ritrovarne l’espressione nel vino. Le fermentazioni delle uve rosse sono condotte in tonneaux aperti di rovere francese, dove le follature sono realizzate esclusivamente a mano, nessuna pompa viene mai a contatto con il mosto, il processo è lento, delicato, umano. La temperatura di fermentazione è naturale e non viene in alcun modo condizionata. Le macerazioni sono lunghe: variano da annata a annata e possono durare anche più di trenta giorni. Lo scopo è quello di estrarre dalle uve tutte le sostanze fenoliche desiderate e consentire che si stabilizzino a contatto con il legno. La torchiatura è tradizionale, viene utilizzato un vecchio torchio verticale di legno, uno di quelli che si trovano ormai più spesso nei musei che nelle cantine. L’uva viene caricata a mano. Questo metodo consente il massimo rispetto dell’integrità delle bucce dell’uva, a discapito della velocità, di alte rese, del tempo contabilizzato e ottimizzato. Sempre in linea con la filosofia di Rainer Zierock, dedichiamo molta attenzione all’uso dei legni, selezionati dalle migliori tonnellerie nelle foreste francesi dell’Allier, Nevers e Tronçais e stagionati per 30 mesi. I tempi di affinamento sono lunghi perché per invecchiare occorre tempo: tre, quattro anni e ovviamente variano in base all’annata e alla qualità dell’uva. Dopo il periodo di affinamento, insieme a Mauro Taiariol, viene fatta la scelta delle migliori barrique di ogni singola varietà che concorreranno alla selezione del “Prescelto”. Lavorare prendendosi il tempo necessario, permette di affidarsi completamente alle tecniche enologiche antiche e moderne: i vini ottenuti non necessitano chiarifiche e stabilizzazioni chimiche o fisiche, né filtrazioni. Tutti i processi si sono svolti naturalmente nel legno durante gli anni di invecchiamento. L’imbottigliamento si avvale di una tecnologia moderna che consente il massimo rispetto della qualità senza compromettere il lavoro che la terra, la vigna, il clima e l’uomo hanno fatto nei lunghi anni trascorsi. Dedichiamo grande attenzione anche all’affinamento in bottiglia. I vini appena imbottigliati sostano quindici giorni in posizione verticale per consentire al tappo di espandersi all’interno della bottiglia, dopodiché le bottiglie vengono coricate e conservate in cestoni a temperatura condizionata ed al buio per un anno prima della commercializzazione. Per dare continuità alla ricerca iniziata dal professore Rainer Zierock, ogni anno destiniamo una parte delle uve alla “sperimentazione”. Vengono provate nuove e diverse tecniche di vinificazione, appassimento, affinamento e blend. Siamo attenti a seguire uno dei suoi ammonimenti: “l’uomo tende sempre a migliorare, a evolversi, in qualche maniera a innovare perché nell’innovazione vi è la storia dell’uomo agricoltore”.

La filosofia di Rainer Zierock

L’enologo Zierock ha introdotto importanti innovazioni nelle tecniche enologiche. Si può parlare di un approccio che fa riscoprire le origini della viticoltura?

“Come ha sostenuto l’enologo Attilio Scienza, Rainer Zierock ha avuto una grande intuizione: anticipare l’approccio ambientalista alla viticoltura, attraverso la formulazione del Pentagono. Formulò una visione olistica della produzione del vino mediante uno schema che richiamava, oltre agli elementi fondamentali del terroir (clima, suolo, vitigno), anche l’uomo, depositario della cultura,della tradizione e dell’etica, senza le quali la produzione del vino è solo un’attività economica senza lo spirito delle origini. Va salvaguardata la complessità del vino, il suo essere dipendente dalla natura. Un utilizzo eccessivo della tecnologia è deleterio in quanto provoca una banalizzazione del prodotto, con la conseguente perdita delle sue caratteristiche, della sua personalità. Il vino deve rimanere un prodotto caratteristico della natura che si avvale del contributo umano che non deve mai essere invasivo”.

…e ora scopriamo i vini di Castello degli Angeli

Producete vini naturali?

“I vini del Castello degli Angeli non sono certificati Bio – Biodinamico – Vegan. Le ridotte dimensioni aziendali e il ridotto numero di bottiglie prodotte ci consentono di comunicare direttamente al nostro cliente la qualità dei nostri vini. Fino a ora non abbiamo fin ora sentito la necessità commerciale di intraprendere la via delle certificazioni, molto onerose anche in termini di gestione documentale. Seguendo gli insegnamenti di Rainer Zierock, nel nostro vigneto, impiantato a 10.000 ceppi/ha, non facciamo diserbo e lavoriamo solo manualmente cercando di limitare al massimo i trattamenti. In cantina, sia pure non abbiamo la certificazione, tutti i parametri del disciplinare “Bio” li rispettiamo. La biodinamica ci affascina e seguiamo volontariamente alcune delle linee guida della vinificazione biodinamica ed il calendario di Maria Thun. Evitando additivi e chiarificanti di orgine animale (albumina, caseine, colla di pesce, gelatine animali, ecc.), pur non avendo la certificazione, possiamo definire i nostri vini VEGAN”

Come è stata effettuata la scelta dei nomi dei vini, quanto conta l’etichetta in un vino e quale è stata la vostra scelta?

Castello degli Angeli: Estereta

“Un incontro intorno a un tavolo decide tutto: dalla produzione all’etichetta. In questo modo vengono decisi anche i blend dei vini che daranno origine a Amedeo, Barbariccia e Frate. L’etichetta è un “biglietto da visita” e ha una grande importanza soprattutto per le aziende più commerciali. Noi abbiamo un’etichetta unica per tutti i vini, semplice e identificativa, voluta a suo tempo da Mauro Taiariol e Rainer Zierock. In particolare il Barbariccia richiama il noto diavolo cantato da Dante Alighieri, protagonista della quinta bolgia dell’Inferno; Amedeo ricorda il padre di Mauro Taiariol mentre Estereta la mamma; Frate è dedicato ai frati che hanno abitato il castello e che per primi dedicarono alla viticoltura e Il Prescelto, ovvero la miglior barrique della miglior varietà dell’annata, imbottigliata in purezza, scelta alla cieca da un panel di amici, enologi, appassionati, tecnici e giornalisti. Ciò che ci anima dalla vigna all’imbottigliamento fino alla commercializzazione è la voglia di condividere un pensiero, che diventa un progetto, che genera un vino. Come in un flusso dove tutto parte dalla terra e poi vi torna”.

Ci racconti il vino di cui sei più orgogliosa? Quali sono le caratteristiche che lo rendono unico?

“Il Prescelto è una delle etichette dell’Azienda Agricola Castello degli Angeli: il bianco Estereta (a base Viognier) e i rossi Amedeo, un Valcalepio D.O.C., e Il Frate. A questi si aggiunge un altro dei tesori dell’azienda, il Barbariccia, bordolese d’eccellenza, vino intrigante e potente, di grande struttura, ricco di tannini, persistente e sicuro; un vino che invecchia per circa due anni in barrique di rovere francese e per altri 36 mesi in bottiglia prima di svelarsi”.

Ora è giunto il momento di assaggiare i vini di Castello degli Angeli, avendo acquisito la consapevolezza che si possono produrre vini che, al di là delle certificazioni, hanno come garanzia il rispetto della natura. Io vi consiglio di assaggiarli, di lasciarvi sedurre e di trascorrere una piacevole giornata in un luogo pieno di storia e di cultura. Famelici lo sostiene con decisione: cibo e cultura sono l’unico matrimonio indissolubile!

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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