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I panari salentini: l’arte di intrecciare cesti

Chi conosce i panari salentini? Pochi. Eppure oggi la rinascita dei lavori legati alla tradizione non sono ancora una moda, ma una tendenza sì. Così oggi chi visita il Salento, non deve perdersi l’esperienza della ricerca presso i mercati dei panari, ovvero di cesti i cui giunchi di ulivo, canna, mirto e restinco sono abilmente intrecciati a mano. Se siete fortunati come noi potete incontrare a Botrugno persone come il signor Uccio, uno degli ultimi depositari di questa arte. In origine servivano ai contadini per portare a casa, dopo il lavoro nei campi, frutta fresca, olive e lumache. Per produrli si parte dalla raccolta della materia prima. Si procede con la bollitura, l’essicazione, la levigatura, il taglio e la conservazione. L’intreccio è l’ultimo passaggio per ottenere i panari salentini. Oltre alla canna, si usano anche i polloni di ulivo o succhioni, conosciuti come vinchi. Per creare dei bei panari occorre grandi capacità. In origine la struttura di base, costituita da vinchi, era un’opera di geometria elementare, un intreccio di figure primordiali come il cerchio o la linea. Si legavano a forma di croce o di raggi alcuni segmenti duri di ramoscelli di ulivo, attorno ai quali si facevano scorrere, a forma di cerchi concentrici, altri vinchi. Sul bordo erano inseriti altri succhioni di lunghezza adeguata all’altezza prevista, piegati e legati a imbuto in moda da consentire una facile tessitura. Si completava la creazione del cesto curando la parte estetica. L’ultima fase avveniva mediante la finitura superiore ottenuta dai succhioni; i vinchi venivano ripresi e avvincigliati, in modo da formare l’orlo e il manico.

 

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2 Comments

    • Gentilissiam Anna,
      l’articolo è stato scritto qualche anno fa. Provo a contattare l’ufficio stampa che lo organizzò per farmi dare dei contatti utili. Buona serata

Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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