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Lo chef nella storia: una selezione di cuochi per capire come si è evoluta una figura professionale ancora “al maschile”

In un mondo che è cambiato rapidamente una figura professionale conserva l’indiscusso primato del genere maschile: lo chef. Ma la figura del cuoco non è mai cambiata nella storia? Famelici vi propone una selezione di cuochi  che hanno influenzato generazioni di uomini. A voi l’ardua sentenza: in meglio o in peggio?

Marco Gavio Apicio

Lo chef nella storia: Apicio e la cucina

Gastronomo, cuoco, amante del lusso e scrittore romano, vissuto a cavallo fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C, sarebbe stato il cuoco ufficiale e personale dell’imperatore Tiberio. Alcuni sostengono che non sia mai esistito, chi ne afferma l’esistenza lo descrive come un uomo potente, amico di chi contava nella Roma imperiale.

É la nostra principale fonte sulla cucina romana. Grazie al De re coquinaria, a lui attribuito e considerato il primo ricettario della storia, sappiamo che la cucina romana abbondava in condimenti. La salsa base di pesce, il mosto cotto e rappreso, il miele, verdure, spezie, venivano usate in abbondanza come condimenti, sia singolarmente che mescolate tra loro, generando un’infinità di gusti diversi. Gli alimenti alla base delle ricette di Apicio non erano quelli consumati quotidianamente dai romani e dalle classi sociali più umili,  ma erano scelti proprio per la loro stravaganza e fatti portare da lontano.

Roma era  la più grande potenza mondiale, i ricchi potevano così rifornirsi facilmente di qualsiasi prodotto proveniente da una qualunque regione dell’impero. Apicio dà una forte impronta alla storia della gastronomia, facendo del cibo uno status symbol: i pasti diventano occasione di sfoggio e sfarzo, il banchetto un momento di spettacolo scenografico, la ricerca di pietanze originali e sorprendenti servivano a sfare sfoggiare la ricchezza e il potere delle classi più abbienti. La fama di Apicio durò per secoli, tanto da influenzare la cucina rinascimentale.

Bartolomeo Scappi

Cuoco “segreto”, ovvero “privato”, di papa Pio V, è colui che codifica il pasticcio e la torta, specialità dell’Italia rinascimentale. Siamo nel periodo in cui trionfa il forno, che ha sostituito lo spiedo e i cibi si avvolgono nella pasta.

La distinzione codificata in quei tempi è sopravvissuta fino ai nostri giorni: la crosta dolce, ovvero la pasta frolla, si adatta a carni, maccheroni, talvolta pesci, mentre la pasta salata si abbina con verdure, formaggio e uova, e si ottiene la torta. Scappi era amato e stimato e ha lasciato una forte traccia nella storia della cucina italiana.

Marie-Antoine Carême

Marie-Antoine Carême

“Il primo chef delle celebrità”, era conosciuto  come “il re dei cuochi e il cuoco dei re”. La sua creatività ha contribuito allo sviluppo dell’Haute cuisine, ideata per l’aristocrazia francese del 18° e del 19° secolo.

Le porzioni non sono abbondanti, ma il numero delle portate, preparate a regola d’arte, aumenta. Ha creato una sorta di genealogia delle salse: besciamella, vellutata,  salse spagnole e tedesche. Ha scritto  “L’Art de la Cuisine Française”, 5 volumi, dove si trovano le ricette per la creazione di ben 200 tipi di salse diverse e le caratteristiche fondamentali dell’Haute cuisine.

Leggenda vuole che fu  abbandonato per le strade di Parigi, quando aveva appena 9 anni. Cercò lavoro ovunque e riuscì a trovarlo presso la cucina di un ristorante. A 15 anni cominciò a lavorare in una pasticceria. Nonostante la lunga giornata lavorativa e la sua esposizione ai fumi e ai cattivi odori, Carême impiegava il tempo che gli rimaneva per studiare e leggere alla Biblioteca Nazionale, deve cercava testi di cucina antica e straniera. Oltre alla cucina si interessava all’architettura, arte che influenzò la mise en place dei suoi piatti.

Utilizzando zucchero e marzapane, riusciva a creare delle torte molto alte, con forme architettoniche, come piramidi e templi, che venivano usate come centrotavola. Cucinò per il diplomatico francese Talleyrand, un uomo potente e assai esigente in cucina: ogni giorno voleva un menu diverso, dove non fosse prevista la ripetizione di nessuna pietanza, con l’utilizzo di prodotti di stagione e che le portate fossero raffinate!

Cucinò anche per la sorella di Napoleone, e nel 1803 -dopo aver messo un po’ di soldi da parte – aprì la sua prima pasticceria. Qui si dedicò a diverse sperimentazioni. Fu il primo a decorare le torte con le meringhe, utilizzando una tasca da pasticciere. Progettò il menù per il pranzo di matrimonio di Napoleone, oltre alla realizzazione della torta. Seguì, poi, un lavoro con lo zar di Russia, Alessandro I; e qualche anno dopo con Giorgio IV.

A lui si deve anche un’importante evoluzione nel modo di stare in cucina e di servire. Impose l’utilizzo dell’uniforme da chef e il  cappello bianco e cilindrico, conosciuto come “toque blanche”. In realtà esisteva già prima, utilizzato da un altro cuoco di Talleyrand, Charles Maurice. Antonin inserì però un cartoncino all’interno, in modo da farlo mantenere rigido ed alto sulla testa, permettendo all’aria di circolare, senza creare pruriti.

Il grande chef rivoluzionò anche il servizio dei piatti: via quello francese, che prevedeva un solo grande piatto centrale da cui i commensali potevano prendere la loro porzione di cibo, meglio il modello russo, che prevedeva di impiattare singolarmente i piatti.

Creazioni di Carême da non dimenticare? I vol-au-vent, dei cestini di pasta sfoglia da farcire con creme dolci o salate; le meringhe e veri e propri dolci di design per la cucina; la rivisitazione di ricette medievali, come il Biancomangiare; l’odierna Charlotte, un dolce di origini inglesi che Antonin modificò per omaggiare lo zar Alessandro I e il“boudoir” (da noi noto come “Savoiardo”), un biscotto da  inzuppare senza  che si  rompa, un’  idea che gli venne osservando l’abitudine di Talleyrand di inzuppare un biscotto nel  vino di Madère.

Pellegrino Artusi

Pellegrino Aerusi chef nella storia

Pellegrino Artusi, scrittore, gastronomo e critico letterario, è il Vangelo della Cucina Italiana, colui che l’ha reinterpretata. Nel 1891 pubblica La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, noto come “L’Artusi”, tradotto anche in inglese, olandese, portoghese, spagnolo, tedesco e francese.

Quello che si rivelò un vero successo editoriale, fu una scommessa di Artusi. Nessun editore voleva investire soldi in un libro che appariva privo di senso. Artusi lo pubblicò investendo i propri soldi. Raccolse 790 ricette tradizionali da tutta Italia descrivendole con brevi commenti e aneddoti personali.

Il grande merito? Avere proposto un modello di cucina nazionale capace d’incontrare il gusto degli amanti del mangiar bene e di imporsi come punto di riferimento. Piatti regionali come il risotto alla milanese o le scaloppine al Marsala divennero piatti nazionali. In particolare fu proprio Artusi a canonizzare il binomio “pasta-salsa di pomodoro”.

La borghesia forse non era riuscita a fare ancora l’Italia, ma grazie ad Artusi aveva dato vita alla cucina italiana! In effetti Artusi evitò di riportare ricette eccessivamente legate a un territorio, difficilmente comprensibili al di fuori dei ristretti confini municipali. Inoltre è ben visibile il tentativo non tanto di legittimare una cucina popolare, quanto quello di creare una cucina borghese.

Gualtiero Marchesi

Gualtiero Marchesi

Gualtiero Marchesi, il Maestro, lo spartiacque per cui i critici parlano di un “prima Marchesi” e un “dopo Marchesi”. Chi non conosce il celebre assunto marchesiano che “in ogni arte la grande raffinatezza consiste nella sintesi e nella semplicità?”.

Ecco descritta la grande rivoluzione di Marchesi: sprovincializzare le proposte gastronomiche italiane, dandogli leggerezza, e avvicinare la cucina all’arte.  É lo stesso Maestro a descrivere la sua cucina: «è cerebrale e passionale al contempo. La cucina deve stupire con la semplicità. Deve coinvolgere il cuore e la mente, oltreché i sensi, non cedendo però ad emozioni facili ed immediate, che non implichino anche la profondità e la riflessione».

Marchesi nel rispetto dell’ingrediente ha saputo dare forma alla materia, evidenziando la possibilità di creare un piatto bello e buono. É stato lo chef che maggiormente ha sottolineato la relazione cibo e cultura, il legame tra etica ed estetica.

Carlo Cracco

Carlo Cracco

Carlo Cracco conclude la nostra breve storia dell’evoluzione della figura del cuoco. L’ho scelto come rappresentante della nuova figura di chef che hanno scelto di diventare star della tv e dei social, oltre che testimonial di campagne pubblicitarie.

Cracco ha di sicuro cavalcato l’onda della spettacolarizzazione del cibo, ma forse ha il merito di aver fatto capire a molti che il cuoco è un artigiano, talvolta un artista, che ha qualcosa da raccontare. Un racconto che dovrebbe essere culturale, di promozione del territorio e dei prodotti della nostra terra.

Certo non manca chi l’accusa di passare poco tempo in cucina, di essere diventato un prodotto mediatico… Difficile esprimere un giudizio, stiamo ancora vivendo l’epoca della trasformazione della figura dello chef. Posso cercare di proporre il tema più corretto da sottoporre a discussione, al di là delle false polemiche: se il cibo è cultura, forse andrebbe rispettato e trattato con la stessa dignità che si riserva ai libri che raccontano storie e ci regalano emozioni.

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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