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Difendere la cucina italiana? Con la cultura

Chi reinterpreta, anche in modo originale, la cucina tradizionale è spesso bollato come un eretico. Ma è davvero così?

In Italia puoi parlare male di tutto, tranne che della mamma e del cibo. Mai farlo, equivale ad una bestemmia. Difendere la cucina italiana è un dovere e se non lo fai diventi immediatamente un pericoloso eretico da bruciare sul rogo, da punire con invettive nei nuovi tribuali della Santa Inquisizione: i social.

La tradizione non si tocca!

La tradizione enogastronomica italiana è intoccabile. Le ricette della nonna o del contadino sono la Bibbia, modificarle è sacrilegio. Non lo tolleriamo, richiamiamo alle armi migliaia di seguaci pronti a difenderne la sacralità.

Tanto diventiamo talebani, che siamo pronti a mettere in discussione la grandezza di chef come Bottura o Romito, invidiatici in tutto il mondo. In questa guerra santa il web ha esasperato la lotta, segnalando qualsiasi cuoco o gourmet che si permetta anche la più piccola modifica di ricette considerate identitarie. I tempi di Ferran Adrià sembrano ormai un lontano ricordo.

Difendere la cucina italiana senza dimenticare che la cucina è sperimentazione

Difendere senza se e senza ma la tradizione della cucina italiana equivale ad una sua autentica difesa? In realtà non si tradisce il suo valore culturale? La cucina è sempre stata un’arte in continua evoluzione, una disciplina che si è sempre arricchita grazie alle contaminazioni, agli incontri con le culture di altri popoli e alla necessità di sostituire ingredienti all’improvviso introvabili.

L’alieno pomodoro ha fatto la storia della cucina italiana

Molti piatti considerati la bandiera del Made in Italy prevedono l’utilizzo del pomodoro. Ebbene il pomodoro è arrivato nel nostro paese dalle Americhe nel 1548. Quando cominciò ad essere utilizzato in cucina, fu considerato un “alieno” e chi lo cominciò ad usare compì un’importante rivoluzione che portò all’evoluzione di molte ricette già esistenti.

Sai quanti ingredienti protagonisti dei nostri piatti non sono italiani?

La stessa cosa accadde quando abbiamo conosciuto molti altri ingredienti oggi considerati italiani. È il caso delle melanzane, delle patate, dei peperoni, dei fagioli, del cacao e del caffé. Appare evidente che la cucina è il risultato di diverse contaminazioni, scambi, evoluzioni, rivoluzioni più o meno roboanti. Cambiamenti difficilmente arginabili.

Difendere la cucina italiana impedendone l’evoluzione? La vana lotta degli haters

Nonostante la consapevolezza che la cucina sia il risultato di continue trasformazioni, il web è pieno di “odiatori” pronti a colpire chiunque posti una foto di un piatto lontano dall’immagine tradizionale.

Soprattutto quando sono grandi cuochi o pizzaioli, soprattutto quando studiano abbinamenti che contaminano la nostra cultura gastronomica con quella di culture lontane ma sermpre più vicine. Quante urla scomposte si sono alzate quando Renato Bosco ha proposto la pizza all’ananas!

Lo strano caso della carbonara (se talebani non continuate la lettura!)

Difendere la cucina italiana

La carbonara, uno dei piatti che maggiormente rappresenta l’Italia all’estero, non sarebbe mai esistita senza contaminazioni con la cultura gastronomica americana. La carbonara ha una storia recente.Viene servita per la prima volta nel 1944. Gli Alleati – impegnati sulla linea Reinhard, tra Lazio, Molise e Campania – amavano mangiare la tradizionale pasta “Cacio e ova” abruzzese.

Gli americani fecero conoscere, a loro volta, un loro piatto: eggs and bacon. Gli osti della zona comminciarono ad utilizzare il guanciale (talvolta anche la pancetta affumicata importata dagli USA) e, voilà, nacque la carbonara.

Ti ricordi lo scandalo dael “Carbonaragate”?

Qualche anno fa scoppiò il “Carbonaragate“, quando Adam Gopnik, amante della cucina e corrispondente da Parigi per l’americano The New Yorker, sostenne che in cucina si può modificare qualsiasi ricetta, dimenticando che per onestà intellettuale se si crea qualcosa di nuovo si inventa anche un nuovo nome.

E in Italia?

Difendere la cucina italiana

Famosa è la polemica scoppiata quando Marco Sacco, chef 2 stelle Michelin con il suo ristorante Piccolo Lago, a Verbania, inventò la Carbonara au koque. Si urlò al tradimento, fu indicato come un pericoloso eretico.

Lo chef si difese sostenendo la necessità di far convivere la tutela della tradizione con la possibilità di sperimentare, utilizzando anche ingredienti diversi. Così Marco Sacco ha proposto la carbonara sostituendo il guanciale con il prosciutto di Vigezzo o proponendo un uovo a cui si è aggiunto del gin, trasformandolo in una salsa da versare da sé sul proprio piatto.

L’eretico Bottura, il miglior testimone di come difendere la cucina italiana

Massimo Bottura: il futuro dei ristoranti

Massimo Bottura è un rivoluzionario che ha sempre sostenuto con forza che la cucina è evoluzione e che diventa sublime quando trasmette emozioni. Non deve rinnegare il passato, ma reinterpretarlo, criticandolo in modo costruttivo per trasportarlo nel futuro.

Uno spaghetto…che diventa dessert!, ma che piatto è?

Hanno fatto scalpore le sue parole a Identità Golose, dove ha provocato il pubblico presentando Uno spaghetto… che diventa dessert! Ti sembra di mangiare uno spaghetto al pomodoro, ma in realtà nel piatto ci sono le amarene, le mandorle e i capperi. Un viaggio nei sapori dell’Italia. Da Modena fino a Pantelleria.

La difesa di Bottura

«Con questo piatto – ha raccontato Massimo Bottura – supero qualsiasi barriera, racconto l’Italia attraverso una riflessione. Uso la materia evitando ogni riferimento storico, proponendo un’analisi critica del sapore di ogni ingrediente».

Il grande insegnamento di Bottura: innovazione e tradizione camminano mano nella mano

difendere la cucina italiana

Allo stesso modo il grande chef modenese ha reinterpretato la tradizione emiliana. Come? Reinterpretando i tortellini. Così ha scelto, ad esempio, di ridurne il numero nel piatto per attirare l’attenzione sulla qualità della pasta e del ripieno.

…senza dimenticare il brodo!

Il protagonista diventa anche il brodo. La ricetta nasce da un grande studio che passa dai racconti delle nonne per concludersi dalla raccolta di vecchie ricette e testimonianze delle redzore raccolte dagli Appennini al Po. Il materiale è stato rivisto poi da Bottura e dagli uomini della sua brigata. Le testimonianze si sono contaminate con le differenti culture dei suoi chef. Così è nato un brodo poliglotta, vera anima culturale della cucina. E la tradizione? Viene custodita dal tortellino realizzato in modo da conservare la cultura del gesto e la cultura del territorio. Difendere la cucina italiana passa, dunque, attraverso la sua interpretazione.

 

 

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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