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Cibo e letteratura per farci capire che il cibo è cultura

I gusti e sapori possono vivere a lungo, anche quando noi stessi ci scordiamo che i ricordi possono riaffiorare quando meno ce lo aspettiamo: senz’altro la letteratura, insieme ai sogni, è un grande veicolo di questi ricordi/emozioni.

I libri sono il racconto di una vita senza pause, ecco perchè li leggiamo.Cerchiamo risposte, conforto, suggerimenti. E il cibo è spesso un ingrediente per parlare dell’esistenza

Per nobilitare, da subito, questo articolo dedicato a cibo e letteratura inizio con una poesia della grande poetessa Alda Merini, o forse sarebbe meglio definire la sua una preghiera di ringraziamento: “Dio della pace, quanto cibo ormai / io Ti ho offerto negli anni! Dammi un segno / di probabile quiete”. E sempre come nota introduttiva, a rinforzare il poliedrico e pirotecnico rapporto tra cibo e cultura, trovo stupenda la visione presente in “Biografia della fame” della scrittrice belga Amélie Nothomb, dove la fame di cibo e cultura diventa metafora di altri desideri: amore, bellezza, avventure. Sconfiggere, per esempio, l’anoressia cibandosi di parole, trasformando il corpo in carta. In questa brevissima introduzione come faccio a non citare “Afrodita” di Isabel Allende: il cibo come l’erotismo entra negli occhi, nelle narici, nelle carezze, nei gemiti e sulle labbra. Ne sanno qualcosa le donne: i più grandi amanti sono coloro che usano le parole come afrodisiaci!

Memoria, cibo e letteratura: un mondo di sapori

I gusti e sapori, possono vivere a lungo, anche quando noi stessi ci scordiamo che i ricordi possono riaffiorare quando meno ce lo aspettiamo: senz’altro la letteratura, insieme ai sogni, è un grande veicolo di questi ricordi/emozioni. Il cibo e la cucina sono delle grandi metafore dell’esistenza, quindi si prestano particolarmente bene a essere incluse in una narrazione dell’esistenza, a rappresentarla in qualche modo. Ci piace comunque ricordare che nella “Divina Commedia” di Dante Alighieri, il piacere esasperato del cibo diventa peccato. Nel terzo cerchio dell’Inferno (VI Canto), i golosi sono sdraiati in una fanghiglia puzzolente e costretti a subire una pioggia continua: una pena così avvilente è giustificata da Dante col fatto che in vita essi non riuscirono a frenare con la ragione il più elementare degli istinti umani.

Un grande arazzo fatto di aromi, sapori, consistenze e nuvole di profumi

Iniziamo allora questo nostro slalom tra cibi, portate, ricette e profumi, senza alcun riguardo per date e stili! “Il pranzo di Babette” (Babettes gæstebud) è un racconto di Karen Blixen: le quaglie en sarcophage, sono la portata principale del pranzo, di questo famosissimo pranzo!

Le pappardelle venivano mangiate nella Toscana orientale già nel tardo medioevo e Boccaccio le nomina nel “Decamerone”. Sempre Bocaccio nel “Corbaccio” nomina «le zuppe lombarde, le lasagne maritate, le frittellette sambucate». I maccheroni, invece, compaiono nella novella CXIV di Franco Sacchetti.

Gadda, tra le sue tante opere ha scritto “Il gatto selvatico” che contiene qualche cosa di inaspettato: la ricetta del risotto alla milanese, che lui intitola ”Risotto patrio”. La grande scrittrice inglese Virginia Woolf, è diventata famosa nell’ambito culinario per una citazione: “Non si può pensare bene, amare bene, dormire bene, se non si ha mangiato bene”. E nel suo romanzo “Gita al faro”, datato 1927, ha messo in scena una cena, il cui piatto fondamentale è il Boeuf en Daube, stufato francese che il cuoco della signora Ramsay ha passato giorni a preparare.

Il nostro viaggio alla scoperta di cibo e letteratura continua con…

E i maghi? Eh sì, anche loro mangiano e bevono: J.K Rowling in “Harry Potter” ne fa apparire tanti di cibi, nella scuola, nelle feste, nei negozi. Ma la Butterbeer è il top dell’immaginario potteriano: sa di caramella al burro ed è la bevanda perfetta per coccolarsi, solo leggermente alcolica.

“Dahanu Road” di Anosh Irani, si apre con l’immagine di un bambino di dieci anni che passa la notte sognando di assaporare e tenere in bocca per l’eternità pezzi di zucchero filato. E, sempre nello stesso romanzo, il padre del bimbo, emigra dall’India e fa delle piantagioni di Chikoo (o anche Manilkara zapota, dai frutti dolcissimi) il suo futuro lavoro.

In “I Buddenbrook. Decadenza di una famiglia” di Thomas Mann, la cameriera con il pesante abito a righe e la cuffietta bianca sulla nuca, serve una bollente zuppa di erbaggi con il pane abbrustolito, prima di far apparire sul tavolo un enorme prosciutto dalla crosta impanata, rosso mattone, affumicato e cotto, con salsa di scalogno bruna e aspretta e con una tale quantità di legumi. Ma alla fine della liturgia, fu servito il capolavoro della moglie del console, la “terrina russa”, una composta di varia frutta conservata sotto spirito e piccante. Nel turbolento libro di M.V. Montalban “Il centravanti è stato assassinato verso sera”, Biscuter dice: “Farò degli involtini – Farcellets de cap-i-pota, con gamberi e tartufi e per chiudere fichi alla siriana ripieni di noci cotte nel succo d’arancia”.

Cibo e letteratura e la voglia di comprendere chi siamo

Abbiamo parlato di cibo, letteratura e libri, per confermare che molto spesso il cibo significa cultura: qui il territorio, i sapori, le ricette e gli alimenti si coniugano con la narrazione, volano spesso verso vette impensabili, tra sensi, gusti, aromi e sapori meravigliosi. In chiusura una riga dal libro “Esperimento Marsiglia” di Paolo Di Paolo, che ci riporta con i piedi sulla terra: “La purezza non esiste. Non esiste in cucina e da nessuna parte.”

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