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Biscotti della fortuna: cinesi o giapponesi?

Dire Oriente non significa nulla. Soprattutto se confondiamo la cultura giapponese con quella quella cinese. Se ti chiediamo se i biscotti della fortuna sono cinesi o giapponesi, che cosa rispondi? Noi spesso li mangiamo come omaggio a fine pasto nei ristoranti cinesi. Ma siamo sicuri che ciò che ci viene offerto nei ristoranti cinesi in Occidente si possa definire cucina cinese? E se vi svelassimo poi che i biscotti della fortuna sono una odierna usanza della comunità americana di immigrati sulla West Coast?

Un’altra informazione  vi creerà qualche perplessità. A Kyoto sono diffusi dolcetti fatti con dischi di pasta piegati in due, e successivamente ripiegati, non prima di aver inserito un bigliettino con un motto, una profezia, un avvertimento. Le dimensioni sono maggiori, la colorazione è più ambrata…eppure sono i biscotti della fortuna! E se allora le origini non fossero cinesi?

tsujiura senbei o omikuji senbei risalgono al periodo Edo (1603-1868), durante il quale si diffuse la moda di scrivere profezie in versi su bigliettini di carta. Non mancano le  testimonianze storiche che vanno dai libri, sia orientali che occidentali, a una xilografia giapponese che ci raccontail procedimento di fabbricazione.

L’arrivo in Occidente? Con l’immigrazione in California, nella seconda metà dell’ottocento, incentivata dalla corsa all’oro, che portò negli  negli Stati Uniti molti asiatici. Si formarono popolose comunità, che fecero parlare genericamente, incentivando il razzismo, di  “pericolo giallo”, e successivamente al blocco dell’immigrazione.

Quando la corsa all’oro si esaurì, moltissime persone conobbero la disoccupazione. Per evitare la fame, molti asiatici contribuirono a creare la fortuna dei “ristorantini etnici”. Grandissimo gradimento incontrò il  Japanese Tea Garden a San Francisco, fondato nel 1894 dall’imprenditore Makoto Hagiwara. A conclusione del pranzo o della cena  si servivano i “dolci da tè”, che racchiudevano un bigliettino con una frase di ringraziamento, che presto si trasformò in una profezia.

Fu un grandissimo successo che si tramutò, all’inizio del ‘900, in una industria: i biscotti, abbandonando l’originaria mancanza di dolcezza, con la sostituzione della vaniglia al posto dell’aroma di soia o miso, si diffusero in tutta la California.

Ma come i biscotti della fortuna si trasformarono da giapponesi in cinesi?

A differenza di quello che accade oggi, nella prima metà del 900, molti ristoranti cinesi, tra San Francisco e Los Angeles,  erano gestiti da giapponesi. Così i biscotti della fortuna iniziarono a essere serviti nei ristoranti conosciuti come cinesi. Poi accadde Pearl Harbor e gli Stati Uniti entrarono in guerra. Furono creati i campi di prigionia destinati a chi era solo colpevole di essere giapponese. Tante imprese giapponesi fallirono, tra queste quella degli Hagiwara. Essere accostati al Giappone divenne sinonimo di fallimento. Chi se ne avvantaggiò? La comunità cinese.

Il biscotto della fortuna si trasformò in una proposta cinese servita in forma più piccola e croccante. La offrivano con successo diversi ristoranti californiani, che fecero di tutto per farne dimenticare l’origine giapponese. Si persero così le vere origini nipponiche, tanto che oggi solo pochi laboratori giapponesi producono i biscotti della fortuna conservando l’autentica ricetta.

 

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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