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La Canosa: tra rispetto del territorio, cibo e cultura

Ai piedi del Monte dell’Ascensione, la cantina La Canosa, nel cuore del Parco Nazionale dei Sibillini, produce i più famosi vini marchigiani, dalla Passerina DOCG al Rosso Piceno DOC. Guida alla degustazione.

 Finalmente assistiamo alla riscossa dei vin marchigiani che fino a poco tempo fa venivano spesso usati come vino robusto per tagliare vini più leggeri.

La Canosa, immersa nelle dolci colline marchigiane, nel cuore del Parco Nazionale dei Sibillini, è una di quelle cantine che, fin dalla nascita, si è posta come obiettivo la ricerca della massima qualità e dell’eleganza. Riccardo Reina si lasciò affascinare dal Borgo di Poggio Canoso nel 2000. Non ci mise molto a costruire un progetto vitivinicolo per valorizzare i vitigni Pecorino, Sangiovese e Passerina e Montepulciano. Ora la guida dell’azienda è passata nelle mani di Alberica, figlia di Riccardo, che sta continuando a supportarla.

I vigneti si estendono per centodieci ettari, quaranta dei quali sono dedicati a vigneti per la produzionesia di vini tipici del territorio, sia dal respiro più internazionale, sfruttando al meglio le diverse esposizioni, le differenti altitudini che vanno dai 350 ai 550 metri e beneficiando della preziosa e possente escursione termica tra le ore diurne e quelle notturne durante tutti i 12 mesi dell’anno. Attorno a Jesi (in provincia di Ancona), sono stati aggiunti recentemente 12 ettari di vitigni di età compresa tra i 12 e i 20 anni, con un’altitudine compresa tra i 194 mt e i 233 mt per la produzione del Verdicchio. Il terreno dei vigneti è calcareo, argilloso, molto minerale con un buon equilibrio tra magnesio e potassio, che varia a seconda dell’altitudine.

La degustazione dei vini abbinati ai piatti della Locanda alla Scala

La Canosa 3

Noi abbiamo degustato i vini della cantina La Canosa a Milano presso il ristorante Locanda alla Scala. Si inizia la degustazione con un apertivo in cui viene proposta la Passerina Extra Brut, una passerina in purezza, spumantizzata con metodo Charmat. Con inoculazione di 2 diversi lieviti selezionati, fermenta in acciaio per 2 giorni a 18 °C. La temperatura è poi progressivamente ridotta fino a 12 °C nel corso di 60 giorni. Seguono frequenti Batonnage fino a portare la temperatura a 0 °C. Lasciata a riposo per altri 18 giorni, dopo una leggera filtrazione, è finalmente imbottigliata. I vigneti si sviluppano in un clima mediterraneo e su terreni calcarei. Il suo colore è giallo paglierino intenso e la sua bolla fine. Al naso risulta fine, fragrante, piacevolmente floreale, con note di biancospino e camomilla. In bocca è un vino fresco e minerale, con una buona acidità ed un finale lungo.

La giocosa Battuta di gamberi rossi come con una pizza margherita è proposta con “Pekò”. Il pecorino, massima espressione del suo terroir, è un vino che matura in acciaio per poi essere affinato in bottiglia per 3 mesi. È un vino bianco fermo, di colore giallo tenue con riflessi verdolini. Presenta note intense, ricche, con sfumature verdi. Ha anche note di mela su uno sfondo di frutta tropicale. Ho apprezzato, in particolare, la sua mineralità. In fase gustativa si distingue per l’intensità e la freschezza che lo rendono un vino rotondo, equilibrato. È un’orchestrazione in cui nulla è stonato.

È la volta di Pane, burro e alici in abbinamento a uno dei vini più rappresentativi delle Marche e ultimo nato in casa La Canosa: il Verdicchio sia in versione Classico “Viridis” che Classico Superiore “Picus Viridis”. Il Verdicchio, il cui nome deriva dal colore delle sue bacche, è un vitigno a bacca bianca noto fin dalll’VIII secolo. La sua versione classica è di facile beva, piacevole al palato e con una spiccata sapidità, mentre il Superiore, al contrario, è più strutturato e per questo adatto ad essere servito in abbinamento con piatti importanti.

A seguire un grande classico della cucina valtellinese, gli Sciatt, accompagnati da un Vino Spumante Rosso, il “Canoso”, realizzato da uve sangiovese in purezza, spumantizzato con metodo Charmat. Un vino innovativo e allo stesso tempo tradizionale. Dal bel colore rosso rubino, al naso si presenta fresco con intense note di frutti rossi. Al palato risulta amabile e piacevolmente tannico, avvolgente con un finale persistente. La caratteristica sensazione amarognola del sangiovese si percepisce solo al termine della beva. Spumantizzare il sangiovese non è facile, non essendo semplice trattare la sua terrosità e la sua amarezza, ma la sfida è stata vinta! Famelicamente consigliata la scelta di proporlo con la coppa piacentina accompagnata dal tradizionale gnocco fritto. Insomma la risposta marchigiana al Lambrusco!!!

Ora ci attendono i golosi Agnolotti del plin ai tre arrosti serviti con il Rosso Piceno DOC “Nummaria”, blend di Montepulciano e Sangiovese (70%-30%), un vino elegante, con carattere e struttura. Vuole essere una scommessa per valutare l’invecchiamento. Si presenta con un bel colore rosso rubino intenso con riflessi porpora. È molto espressivo già in fase olfattiva. Mostra note che ricordano frutti di bosco, ciliegia e mora. Si distingue per essere avvolgente e intenso. Al gusto è caldo, vellutato, con buona struttura, tannino evidente ma garbato. Grazie al lungo affinamento in tonneau evolve mostrando tutta la sua complessità.

Il pranzo si conclude con la guancetta di manzo brasata al vino rosso servita con un Merlot, il “Rovetì”, un vino de La Canosa generoso che al naso è intenso con sentori di ribes nero, vaniglia e spezie tostate. In bocca è morbido, con una forte persistenza aromatica e con un finale avvolgente.

 

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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