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Jiro Ono e l’utopia dell’autenticità e della purezza

“Jiro e l’arte del sushi”, il film di David Gelb prodotto dieci anni fa da Netflix, ha creato il mito dell’autenticità.

Il film- documentario “Jiro e l’arte del sushi sullo chef di sushi Jiro Ono e del suo ristorante tre stelle Michelin Sukiyabashi Jiro (il primo ristorante di sushi a conquistare tre stelle Michelin) compie 10 anni. Il regista David Gelb in un’intervista del 2012 raccontava che lo chef giapponese di fronte alla sua richiesta di sostituire un trancio di tonno per correggere una ripresa oppose un netto rifiuto. A suo dire, avrebbe falsificato il suo messaggio. Ciò che raccontava si riferiva a quel trancio di tonno! L’aneddoto rivela il pensiero di Ono: garantire che ogni elemento di ogni pezzo di sushi fosse perfetto e autentico.

Jiro Ono e la ricerca dell’autenticità o della purezza

Il documentario si apre con una laconica affermazione che riassume la filosofia del grande chef giapponese: “Non possiamo comprare un tonno qualsiasi“. Fare il miglior sushi è procurarsi il pesce migliore, il riso più buono, ossia l’eccellenza proposta dai produttori più bravi. In una scena del documentario l’apprendista Daisuke Nakazawa spiega di aver fatto tamagoyaki più di 200 volte prima di crearne uno abbastanza buono da guadagnare l’approvazione di Ono.

Che cosa significa purezza per Ono? Vuol dire saper esaltare le qualità dei singoli ingredienti per poi armonizzarli in modo perfetto. Il grande chef giapponese ricerca disperatamente l’autenticità e per ottenere la perfezione occorre provare e riprovare all’infinito. Ono è convinto di raggiungere l’eccellenza grazie alla ricerca, alla curiosità, allo studio e alla capacità di mettere insieme come in un’opera d’arte tutti gli elementi raccolti. “Tutto quello che voglio fare è creare un sushi impareggiabile“, dice Ono nel documentario. E poco dopo ci stupisce: “Anche alla mia età, dopo decenni di lavoro, non credo di aver raggiunto la perfezione.”

La ricerca del puro e della perfezione si è spesso riassunta nel termine autenticità. A fronte di tante proposte di sushi che avevano poco a che fare con ciò che è il sushi, Jiro rivendica ciò che deve essere il piatto giapponese. Così il termine “autentico” assume un significato valoriale. Pian piano la ricerca dell’autentico ha creato una categoria per distinguere i ristoranti. Il locale migliore è diventato quello capace di resistere a mode, tendenze, concessioni a commensali spesso ignoranti e facilmente ingannabili. Un tentativo culturale di arginare la globalizzazione.

La sushi mania e la ricerca dell’autenticità

Le idee di purezza sia nella tecnica che nel gusto sostenute nel documentario hanno aumentato l’interesse per il sushi “autentico”. Dalla messa in onda del documentario è cresciuto il successo del sushi, scatenando la ricerca della proposta autentica. Anche laddove la scelta risulta costosa! La proposta di Ono è la ricerca della ricetta pre – globalizzazione, quando ancora i confini nazionali preservavano dalle contaminazioni interpretate spesso come degrado.

La differenza culturale tra cucina autentica ed etnica

Nasce un problema legato alla differenziazione delle cucine a seconda del paese di provenienza. La proposta di Ono è autentica, mentre la cucina cinese o messicana è semplicemente etnica. Si crea una gerarchia del gusto, in cui il cibo giapponese diventa elitario, con prezzi alti, mentre altre cucine rimangono popolari e, di fatto, poco considerate. Il sushi viene idealizzato internazionalmente, classificando la cultura giapponese come una cultura tradizionale e immutabile. In questo modo si crea un vero stereotipo, bloccando qualsiasi evoluzione. Ma la natura della cucina non è quella di conoscere continue trasformazioni? E se esaltare l’autenticità comportasse decretare l’impossibilità delle contaminazioni, delle trasformazioni che nella loro essenza conservano la tradizione rileggendola? L’autenticità, come il denaro o il genere, non è altro che una costruzione sociale e proprio per questo mutevole.

Lo stesso Ono porta avanti una tradizione, una perfezione, un’autenticità che si colloca in un “sistema” culturale ed epocale da lui scelto. Non fa altro che portare avanti una scuola di pensiero. Ma Ono apre una breccia nel suo pensiero: “I maestri hanno detto che la storia del sushi è così lunga che non si può inventare nulla di nuovo”, dice Ono. Ma aggiunge: “Possono aver padroneggiato il loro mestiere, ma c’è sempre spazio per migliorare. Ho creato piatti di sushi che non sono mai esistiti un tempo.” In effetti Ono ha dato vita a nuove tecniche come quella di massaggiare il polpo per 40 minuti per raggiungere la consistenza ideale. 

Quando l’autenticità diventa inautenticità

La conservazione delle ricette è spesso legata ad un aspetto emotivo, nostalgico, ad un ricordo della propria infanzia o della propria terra di origine. Non solo, può essere una reazione ad un accumulo di idee e stili di cui il potenziale non si riesce a sfruttare appieno. Le rivisitazioni fanno temere la perdita della purezza, dell’innocenza e dell’originalità. Non si vuole correre il rischio di smarrire il legame con le tradizioni identitarie e popolari.

Il culto dell’autenticità presenta una contraddizione. Fissarsi su una ricetta lontana dal trempo e dallo spazio condanna all’inautenticità. O si ripropone fedelmente la ricetta, riproducendola esattamente, correndo il rischio della rindondanza, oppure si cerca di sostituire o di aggiungere qualche ingrediente, qualche influenza contemporanea, rischiando però d’imbastardire la ricetta.

Ogni tentativo di mantenere una ricetta immutabile raggiunge una sorta di impasse strutturale, un punto di crisi su cui emerge la contraddizione della rigorosa riproposizione o dell’ineluttabile inautenticità rispetto all’originale.

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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