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Fame di conoscenza VS fame di violenza

Più che dibattiti dolorosi, cerco esempi espressivi – di personaggi, opere e parole.
E per concisione, e per risvegliare una fame positiva, ne ho scelti tre.

Una donna offesa che ha trasformato la vendetta in arte.
Un’opera (immateriale) che la racconta.
Alcune parole che a scuola non ti spiegano.

Perché continuo a pensare che la fame di conoscenza abbia più potere della fame di violenza. E che alimentare l’una sia più potente che saziarsi dell’altra.
Non per caso, ogni esempio scelto è una fame.

Fame di pittura

fame di conoscenza vs fame di violenza
Avrei potuto scrivere “Fame di vendetta”? No.
Artemisia Gentileschi, pittrice (Roma, 8 luglio 1593 – Napoli, gennaio 1654) figlia di pittore e portatrice sulla propria pelle dell’onta di uno stupro – subito a 17 anni da un collega che frequentava la casa – e dell’orrore del processo che ne seguì. E nonostante ciò, capace di imporsi con la forza della sua pittura, che l’ha eternata in una rivalsa incoercibile.

Vengono i brividi a leggere il suo racconto dell’accaduto:

“Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio tra le cosce ch’io non potessi serrarle et alzatomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l’altra mano me le lasciò, havendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntendomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro.
E li sgraffignai il viso e li strappai li capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne.”

Ma si trasformano in altri brividi contemplando le sue opere.

Fame di musica

fame di conoscenza vs fame di violenza
Et manchi Pietà – questo il triste refrain di un’aria di Claudio Monteverdi e anche il titolo di una performance, poi divenuta film e incisione in studio, dedicata ad Artemisia, a cura delle produzioni teatrali Anagoor e i musicisti dell’Ensemble Accademia d’Arcadia diretti da Alessandra Rossi Lürig.

È un racconto per immagini in tredici stazioni commentate da musica del tempo di Artemisia. Corrusco, tempestoso, esuberante, geometrico, limpidissimo. Eccone qui sopra il trailer.

Fame di parole

fame di conoscenza vs fame di violenza
Abbiamo e stimoliamo sempre fame di parole. Sono loro che trovano la strada per arrivare da ogni parte. Allora perché edulcoriamo tutto? Perché anestetizziamo la lingua e attutiamo la forza di una voce, anche quando viene da secoli lontani?

I ragazzi che studiano latino, si annoiano di quelle traduzioni pudibonde, inverosimilmente eufemistiche. Eppure, di storie a tinte forti è piena la nostra civiltà. A partire dal ratto delle Sabine. Dove “ratto” è la traduzione di “raptus”, dal verbo “rapĕre”. Straordinariamente vicino a “rape”, il termine che in inglese significa “stupro”.

Quando, dando ripetizioni, ho spiegato che “rapĕre”, “violare” o “expugnare virginis decus”, cioè “prendere” o “forzare, violare” o “espugnare l’onore di una vergine” volevano dire “violentare”, hanno colto la brutalità dei fatti attraverso la scabrosità della lingua. E hanno partecipato emotivamente. E hanno capito, come se fosse accaduto oggi. E hanno ricordato.

Facciamole vivere, le parole, anche quelle che raccontano l’indicibile.
Non lasciamo che l’indicibile rimanga il non detto.
Facciamo parlare la #famedivero.

[Immagini: Anagoor/Accademia d’Arcadia; fandom]

 

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