Avete in programma un week end in Umbria? Non perdetevi Orvieto. Come suggerito dalla collega Alessandra Cioccarelli nel suo post dedicato a Lisbona, vi suggeriamo delle parole per costruirvi un percorso personale in modo da scoprire una città in modo originale.
Duomo
I lavori, iniziati sotto il pontificato di Niccolò IV nel 1290, permisero a Bonifacio VIII di celebrare la prima messa il 15 agosto 1297. Nel 1309 l’architetto Lorenzo Maitani ideò la facciata gotica a tre cuspidi, rafforzando con archi rampanti la crociera. Sulla facciata sono rappresentate, con mosaici dorati, varie scene di vita di Gesù e della Vergine. All’interno la navata centrale culmina con un finestrone gotico, realizzato da Giovanni Bonino da Assisi e terminato sotto il capomaestrato di Nicola di Nuto nel 1334. Le pareti dell’abside presentano affreschi di scuola orvietana. Furono restaurati nell’ultimo decennio del 400 anche dal Pinturicchio. La Cappella del SS. Corporale è quasi interamente affrescata con i fatti che ricordano il Miracolo di Bolsena e del Sacramento dell’Eucarestia. All’interno vi è il Reliquario, monumento dell’oreficeria medievale. La Cappella di San Brizio inizialmente fu affidata al Beato Angelico, che eseguì i disegni di 4 spicchi delle volte e, insieme agli aiuti (Benozzo Gozzoli e Pietro Nicola Baroni), ne dipinse solo 2, decorando anche i costoloni con motivi floreali e vegetali e le fasce laterali con ritratti all’interno di medaglioni. I lavori furono interrotti per 50 anni, perché l’Angelico fu richiamato in Vaticano. Nel 1499 ripresero con Luca Signorelli, il cui nome fu scelto anche per contenere i costi. Si dice che l’artista fosse pagato a peso di vino. La sua passione per il vino d’Orvieto era tale che ne pretese per contratto 1.000 litri ogni anno. Signorelli concluse il lavoro dell’Angelico e dipinse le altre pareti con i fatti dell’Anticristo, il Finimondo, la Resurrezione della carne, l’Antinferno, l’Inferno, la Chiamata degli Eletti e il Paradiso.
Ficulle
Le botteghe di Ficulle, comune a 25 km da Orvieto, custodiscono un’antica tradizione, che non è stata dimenticata. Lavorata al tornio, la creta si modella in forme essenziali che vengono esposte ai raggi del sole. Macchie marroni e verdi, sul fondo giallo chiaro, sono i colori della tradizione fissati poi dal fuoco della cottura. Nascono così panate, ziri, pignatte, miscole e tutti quegli utensili che rimandano alla quotidianità.
Orvietan
É un amaro erboristico ottenuto dalla macerazione in soluzione idroalcolica di oltre 25 erbe officinali, pressate a mano con piccoli torchi e poi filtrate a telo. Nel 1603 Girolamo Ferranti ottenne dal Comune di Orvieto la licenza di vendita sulla pubblica piazza. Il successo non tardò ad arrivare, diventando un elisir apprezzato dai venditori ambulanti di medicine. Nel 1635 l’Orvietan fu inserito da Johannes Schroeder nel trattato sulla farmacopea. In numerose farmacie europee comparve così il vaso con la scritta L’Orvietan. Non solo: l’elisir è diventato protagonista di diversi romanzi. Nel “Fermo e Lucia” di Manzoni è Donna Prassede a suggerirne l’uso. Ne parla anche Moliére ne “L’Amour Mèdicin” come rimedio al “mal d’amore”. Lo cita Voltaire in un racconto, Leibniz in una lettera, Scott in due romanzi. Nell’800 continuano gli studi, ripresi oggi da Patrizia Castellani e Renzo Consoli, due studiosi dell’Academia Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Modena.
Pozzo di San Patrizio
Fu fatto costruire nel 1527 da Papa Clemente VII a Antonio da Sangallo il Giovane per garantire l’acqua alla città in caso di assedio. Il pozzo è profondo 62 metri e largo 13 cm, con due porte diametralmente opposte che danno alle due scale a chiocciola, l’una sovrapposta all’altra in modo da essere indipendenti, la possibilità della discesa anche a bestie da soma. É illuminato da 72 finestroni e ogni scala conta 284 scalini. Il nome deriva probabilmente dal fatto che nella seconda metà del 700 fu usato come “Purgatorio di San Patrizio” in analogia alla caverna irlandese in cui il santo si ritirava in preghiera.
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