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Che cosa succede se nessuno aiuta i ristoranti a Milano?

Ormai è diventato un ritornello andato in onda frequentemente negli ultimi tempi intonato dai ristoratori e dai titolari dei bar di tutta Italia. Che cosa dice? “Abbiamo un disperato bisogno di regole chiare e di sostegni che ci aiutino a superare la crisi in cui siamo caduti a causa del lockdown”. A lanciare il grido di allarme sono soprattutto i ristoratori di Milano, dove il costo per fare affari è alto anche nei periodi migliori. Qui gli effetti della pandemia sono stati devastanti tanto che la disperazione è il sentimento più diffuso. Il timore è che non venga raccolta la richiesta di aiuto e senza soldi in arrivo non c’è modo di sostenere i lavoratori, pagare l’affitto, le tasse o semplicemente le bollette.

Che cosa succede se nessuno aiuta i ristoranti a Milano?

Dopo due mesi dalla chiusura dei ristorante e dei bar, la Fase 2 appare assai dura se non arrivano aiuti “concreti”. Le proteste sono state tante, chef famosi per le loro presenze in televisione hanno sottolineato la gravità della situazione. Così Alessandro Borghese in un una recente intervista rilasciata all “Huffington Post” ha lanciato l’allarme: “L’assenza dello Stato sta radendo al suolo la ristorazione. Così resisto un altro mese”. Eppure il Coronavirus potrebbe essere l’occasione giusta per ridiscutere di ristorazione e di turismo enogastronomico in Italia.

Leggere le storie di chi è costretto a chiudere impone una domanda: come si può sopravvivere di fronte a una pandemia in completa solitudine? Vite perse, conti bancari in rosso, nessuna prospettiva per il futuro, l’impossibilità di risollevarsi in una fase economica segnata dalla recessione. Quanti possono sopportare le norme imposte dal distanziamento fisico che si traducono con la possibilità di ricevere la metà dei clienti? Tradotto: meno entrate, più costi?

Come ha dichiarato recentemente a La Repubblica, lo chef toscano Luca Natalini: “Investire ulteriormente su una partenza così incerta è un azzardo“. In effetti i ristoranti e i bar sono attività che ripartono con grandi handicap. Per ora sono stati dati solo cerotti, mentre servirebbe una medicina efficace.

Le problematiche del mondo della ristorazione e dei bar non si risolveranno in breve tempo

Le riaperture non sono andate affatto bene. Secondo un’indagine Fipe è stato perso il 70% degli incassi a fronte di un aumento dei costi. E l’estate non migliorerà le cifre. “Una vera ripartenza ci sarà solo in autunno, sempre che non ci sia una seconda ondata. In quel caso, aspettiamoci il colpo di grazia”, dice il vicedirettore Luciano Sbraga.

Ciò che penalizza è l’assenza di turisti nei centri storici delle grandi città. Non bastasse, tanti lavoratori sono ancora in smart working. Ma ciò che terrorizza è il quesito ancora senza risposte riguardo alle abitudini degli italiani rispetto agli aspetti conviviali e di svago. La categoria è vittima del pessimismo della ragione che ha la meglio sull’ottimismo della volontà.

Aprire o non aprire questo è il dilemma: ecco perché molti scelgono di rimanere chiusi

L’elenco dei locali che hanno deciso di non riaprire è lunga. Qualche esempio? Ad Arezzo la pizzeria ‘O Scugnizzo, di Pierluigi Pollice, 23° posizione per 50 Top Pizza 2019, ha mantenuto in vita il solo delivery; a Milano lo storico bar Rattazzo chiude definitivamente, Carlo Cracco ha riaperto il ristorante ma solo per l’asporto.

E se è così difficile per chi ha sempre avuto successo e riconoscimenti di critica, immaginatevi quanto possa essere drammatico per le migliaia di lavoratori e operatori, spesso immigrati, rimasti senza lavoro!

Chi non apre, al di là delle difficoltà economiche, ritiene che le misure di distanziamento fisico impediscano ai clienti di vivere in modo sereno l’esperienza del ristorante.

Allarme usura: le mani della ‘ndrangheta su bar e ristoranti

Il grande pericolo è che bar e ristoranti cadano nelle mani della ‘ndrangheta, che per giustificare la ricchezza accumulata illegalmente, presteranno soldi a usura a interessi bassi per incentivare i commercianti a rivolgersi agli usurai ’ndranghetisti.

Considerazione famelica

Abbiamo passato gli ultimi mesi a vivere a Milano senza bar o ristoranti, almeno come li conosciamo tradizionalmente. Sappiamo che ci vorrà tempo per tornare alla normalità. Tutti dichiarano di voler salvare queste straordinarie attività, ma cosa succede se chi ha l’autorità e le risorse finanziarie per farlo non muove un dito? Non è forse finalmente arrivato il momento?

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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