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Il caviale vegano entra nella ristorazione gourmet

La cucina gourmet scopre il caviale vegano, ma è corretto chiamarlo così?

Il caviale, nonostante sia stato un cibo povero, è oggi sinonimo di lusso, tanto da essere servito seguendo con pignoleria regole che possono fare sorridere. La tradizione vuole che sia servito addirittura con un cucchiaio di madreperla!

Che cos’è il caviale? E la proposta vegana?

Il caviale si ottiene estraendo la sacca dalla pancia dello storione, prestando molta attenzione ad evitare il minimo spreco. Si procede poi al lavaggio e alla salatura. Solo dopo che si sono seguite con attenzione queste procedure, diventa perfetto per un antipasto da re! Il caviale è un prodotto animale, precluso ai vegani.

Mentre si svolgono aspri dibattiti sulle motivazioni per cui la cucina vegana debba tentare di imitare la carne, gli chef scoprono il caviale vegano. Parliamo del Citrus Australasia, più noto come “Caviale di limone”. Ma c’è anche il Tosago, già conosciuto dagli amanti della cucina giapponese, così come il tomburi o “caviale di terra“, proposto spesso con mais, crema di anacardi e capperi. Una preparazione che affascina i cuochi e che rischia di diventare il nuovo lusso.

Non sono mancati chef che hanno creato un caviale vegano con semi di broccoli fermentati, aggiungendo della polvere di carbone per dargli il colore nero, shio koji (condimento fermentato ottenuto dal riso) e gomma xantana per salinità e consistenza. Per regalargli il sapore del mare, si può unire dell’umibudo, o “caviale verde” giapponese.

Corretto chiamare il caviale vegano caviale?

In realtà il caviale vegano non è caviale e le sue imitazioni sono tentativi che si avvicinano alla cucina molecolare. Perchè richiamare con i nomi piatti che prevedono l’utilizzo di ingredienti animali? Non si corre il rischio di creare aspettative che poi non vengono rispettate? Il rischio è soprattutto quello di confermare i pregiudizi dei non vegani, contribuendo inavvertitamente a far credere l’opzione vegana scadente. E poi perchè separare un ingrediente dalle sue autentiche origini? Perchè snaturare prodotti che appartengono alla cultura orientale?

Si rischia di imboccare la stessa strada che ha portato a cercare di ricreare il sapore e la consistenza della carne – finta anatra, seitan, jackfruit. Tutti tentativi che hanno incuriosito, ma che non sono riusciti ad imporsi. Ha più valore ricordare alle persone che verdure, alghe e cibo a base vegetale sono altrettanto deliziosi, se non di più, del cibo non vegano.

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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