Ma come, museizzare il cibo, che di per sé è deperibile, transitorio e stagionale? Prima di dire che è un controsenso, affiliamo la definizione di museo.
Perché se un museo è un sacro deposito immutabile che si accresce per accumulo, siamo fuori argomento. Se invece un museo è un contenitore vivo di memorie (= il passato) e proposte (= il futuro) rivivibili e ripetibili, un museo del cibo è l’esperienza perfetta perché fa appello non solo alle consuete capacità cognitive, ma anche alla sensorialità, alle papille.
Cibo come genius loci
I musei del cibo forse non sono i primi ad essere visitati, eppure niente come il cibo aiuta ad entrare nello spirito e nella cultura di un luogo. Dovremmo ricordare quanto il cibo è genius loci.
Certo si viaggia, si esplora, si mangia. Ma oltre al cibo scoperto e mangiato c’è anche quello assimilato – nel senso di compreso. Quello rievocato dalla memoria e dalla cultura immateriale che ogni viaggio ci regala.
Un museo per un brand o un museo per un territorio?
Molti dei musei sul cibo sono una raccolta – più o meno ragionata – di ingredienti, di ricette, di manufatti e memorabilia commerciali, intervallati da testi esplicativi, catalogici, unidirezionali.
A volte sono musei istituzionalizzati, ospitati in spazi aziendali. Sono musei per un brand. Un eventuale museum shop garantisce l’acquisto-l’assaggio del prodotto protagonista.
Altre volte sono allestiti in edifici recuperati. Sono musei più narrativi e velleitari, spesso nati da privati o da associazioni culturali locali. Che fanno un lavoro prezioso disponendo di scarsi mezzi. Sono perlopiù musei per un territorio.
Dell’uno e dell’altro tipo, Famelici vi ha già segnalato esempi.
Un museo a menu?
Ma il format museo, trattandosi di cibo, può andare anche oltre?
C’è chi per esempio ha già provato, proprio quest’anno, a esibire una rassegna del futuro paesaggio alimentare: il progetto Food Revolution 5.0 ad Amburgo.
E se un museo sul cibo fosse un po’ come un menu?
E se ogni azienda connessa al cibo sentisse l’esigenza di storicizzare (dimensione individuale, verticale) e sistematizzare (dimensione orizzontale, connettiva) il proprio contributo alla cultura alimentare, all’esperienza del cibo del nostro tempo?
Famelici è ingolosita all’idea di lavorare di più su questo tema. Chissà …
[Immagini: jello by John Maeda; “pizza dogge” del B&B Don Aurelio di Atri (TE), ph iPhone di Daniela; Campari Gallery; Food Revolution book]
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