Da museo deposito a modello Disneyland? É la domanda che da più parti si solleva a commento dei dati che confermano che anche il 2017 è un anno record per i musei italiani. Renzo Piano nel 1977 con la progettazione e la costruzione del Beaubourg aveva imposto un grande cambiamento sul significato da dare a quello spazio che chiamiamo museo. La rivoluzione portata avanti dall’architetto genovese è stata compiuta nel nome dell’accessibilità. Il museo doveva diventare un luogo d’incontro per diverse forme d’arte. Sono passati quarant’anni, ora il rischio è che diventi una sorta di Disneyland frequentata da una massa interessata solo allo scatto del selfie, alla testimonianza di “esserci stato” senza che nessuna domanda sia posta per cercare una risposta. Il sogno? Che il museo sia lo spazio per creare e ricreare un’ idea di comunità condivisa. Dovrebbe regnare quel senso di bellezza che è sinonimo di esplorazione, sorpresa, valore che cerca e dichiara la propria eticità. Da persona laica mi aspetto di trovare quella bellezza che diventa divinità da adorare perché esprime spiritualità, ma anche idea rivoluzionaria, che aspira a realizzarsi per migliorare se stessi e gli altri. Ora tutti dicono che il museo deve offrire la possibilità di vivere un’esperienza. Sono d’accordo, se questo non equivale a rendere i musei tutti uguali e soprattutto che debbano fare divertire a tutti i costi. Se esperienza significa creare interazione, condivisione, possibilità di oltrepassare l’ingresso del museo, è una chiave di lettura interessante. La cultura è scambio, confronto anche duro, è crowdsourcing, è rete, vera democrazia, umanità desiderosa di lasciare traccia del proprio passaggio. Per l’eternità.
Il museo vince quando diventa fabbrica
I musei sono tanti: 18 mila in USA, 20 mila in Europa, 55 mila in tutto il mondo. Il più frequentato? Il Louvre di Parigi con i suoi 8 milioni di visitatori. Museo che ha aperto una succursale anche ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi. É il segnale che il mondo sta cambiando. Aprire un museo significa sancire l’ascesa di una civiltà, affermare un potere. E i nuovi musei, sia pure progettati da archistar occidentali, sono costruiti quasi tutti in Oriente, dove c’è maggiore necessità di legittimazione. Il rischio è che il museo sia considerato al pari di una griffe. Il museo non è mai un’opera compiuta, è un cantiere, è una fucina di idee, una fabbrica che è condannata a produrre in eterno. L’arte non è altro che il risultato dell’agire, del materializzarsi di un’idea o di un sentimento. L’opera stessa produce, crea interesse, emozioni, desiderio di capire. Per questo i musei devono essere trasparenti, luminosi. Non devono nascondere, ma svelare, facendo emergere anche quelle differenze, che, nello scontro, cercano l’incontro. Utopia? Forse il segreto che ci deve sussurrare il museo è che senza idee, senza sogni, senza voglia di comunicare e di condividere il genere umano è destinato a sopravvivere infelice alla ricerca disperata di un sogno che non riesce a materializzarsi.
PS Nella foto di apertura io e la collega amica Daniela Ferrando “famelicamente” alla ricerca di spunti culturali, enogastronomici e lessico #foodcultural da raccontarvi su Famelici
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