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Manifattura ed industria 4.0: per un’eno-gastronomia di alta qualità

Manifattura ed industria 4.0: per un’eno-gastronomia di alta qualità

Manifattura ed industria 4.0 significa che l’industria (ove questa sia caratterizzata da un know how connesso con il territorio) e l’artigianato, grande ed invidiata ‘ricchezza’ del nostro Paese, possono incontrare una molteplice proposta tecnologica al fine di diventare più appetibile dal punto di vista di proposta e più competitiva dal punto di vista della qualità/prezzo: in parole semplici un artigiano del mobile che inserisca nei suoi prodotti (o almeno in alcuni), la tecnologia Internet of Things (per esempio un sensore che racconta la storia del mobile da quando era albero sino a diventare un prodotto finito di design), oppure un’azienda d’imballaggio che usa una stampante 3D per parte o tutto il processo, oppure un cuoco che usi un frigo intelligente in grado di ordinare, facendo in autonomia il check interno, i prodotti che mancano. Questi tre esempi per capire sin dove arriva la possibilità delle nuove frontiere tecnologiche… Ma non solo di tecnologia si tratta: è anche un atteggiamento mentale che muta in nome di una nuova visione con al centro il concetto trainante di condivisione, di connessione, di rete (quindi una inclinazione alla collaborazione tra operatore, macchine e strumenti) unitamente alla massima attenzione agli sprechi e ai danni all’ecosistema naturale. Questo significa perdere la bellezza del made by hand, caratteristica del nostro Paese? Per niente: aver fantastiche tecnologie e non avere cultura, know how ed esperienza (come li abbiamo noi) farà la differenza, e di molto. Se, per esempio, allargassimo l’uso della tecnologia di realtà aumentata applicata ai nostri beni turistici in modo che avvicinandoci ad un dato palazzo o reperto archeologico potessimo leggere sul nostro smartphone la sua storia, non può essere che un grande vantaggio perché la nostra nazione riguardo siti UNESCO (primi al mondo con 51 siti) e di con seguenza paesaggi, opere d’arte o addirittura coltivazioni, non siamo secondi a nessuno. É chiaro che la tecnologia si innesta in un territorio (come il nostro) ricchissimo e non lo depaupera affatto, anzi lo rende più visibile e accessibile. Non corriamo il rischio di diventare troppo automatizzati perché di base la ricchezza materiale ed immateriale del nostro Paese è così sconfinata (ed ancora da scoprire a fondo) che questo pericolo, almeno per un po’, non sussiste. Possiamo diventare per molti settori merceologici, la boutique d’alta classe per un mondo (10 miliardi nel 2050) sempre più ‘affamato’ di qualità.

La sfida resta quella di rendere memorabili le tradizioni ma mettendole in rete, connettendole

Quindi non più manufatti o prodotti ‘isolati’ ma connessi tra loro e con l’ambiente e comunicati nelle piattaforme social: ecco un quadro semplice e neppure tanto difficile da realizzare: più creiamo reti più le reti diventano esponenzialmente efficaci. Quindi una cultura del cibo di alta qualità, la digitalizzazione dei processi e dei prodotti, con l’assioma ‘condivisione’ al centro. Una azienda, per esempio, che usa il digitale per ottimizzare la scelta dei meloni e procedere alla propria divisione in 3 fasce di vendita non fa altro che dare valore aggiunto alla straordinaria biodiversità del settore agroalimentare italiano, ottimizzandone le qualità

Pensare e comunicare: ‘noi’ al posto di ‘io’ e vendere storia, conoscenza, emozioni, non merci!

A questo punto, nella nostra velocissima carrellata dell’innovazione definita 4.0, giunge il momento di pensare all’ultimo miglio, cioè alla comunicazione e allo story telling dei nostri fantastici prodotti/servizi, lavorazioni e tradizioni legate a storia e territorio, sempre. Riuscire a vendere lo straordinario concentrato di storia e cultura italiana che sta dentro una mela o un asparago, ecco la sfida a nostra portata.
Meglio chiarire ulteriormente questo concetto: dobbiamo metterci nella condizione di vendere storie, conoscenza, emozioni, non merci! In questo campo siamo in grado di riattivare un rinascimento che parta dal prodotto sino alla sua comunicazione finale: abbiamo i poeti della parola, iniziando dal grande Dante, che ci hanno lasciato un grande tesoro al pari di una ricchezza da coltivare. Le parole: dobbiamo riscoprirne la magia, fare in modo che ogni lettera sia collegata ed abbia un proprio ‘senso’ profondo, consapevoli che anche una singola vocale meta-comunica mondi interi; le parole, similarmente alle foglie che cadono sul terreno, sedimentano e diventano la base e il concime per una comunicazione armoniosa e terribilmente efficace. In chiusura: dunque manifattura ed industria 4.0, per un’eno-gastronomia di alta qualità? Sì, si può fare ma senza dimenticare la poesia. In chiusura mi viene in mente che Pablo Neruda con la sua “Ode al pomodoro” forse è riuscito a “fare questo miracolo”.

 

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Written by Fabrizio Bellavista

Innovazione e città intelligenti sono i settori di mio interesse e mi troverete attivo nelle sezioni FUTURE e MILANO.

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