in

Squid Game e il cibo: il grande gioco della vita

Squid Game, la serie più popolare di Netflix, mette in tavola un’analisi spietata della società contemporanea ponendo al centro della narrazione giochi infantili ma soprattutto il cibo come metafora della lotta per la sopravvivenza.

L’idea di Squid Game è nata dalle difficoltà economiche che la famiglia dello scrittore della serie ha vissuto durante la crisi internazionale del 2009.

Il K-drama Squid Game è la serie di Netflix più vista al mondo, avendo registrato nelle sue prime quattro settimane 111 milioni di visualizzazioni. Come il film coreano Parasite, premiato con la palma d’oro al Festival di Cannes 2019, la serie ci fa riflettere su quesiti inquietanti.

Se siamo disperati, se abbiamo bisogno di soldi, siamo disposti a partecipare a giochi apparentemente innocenti, in cui la sconfitta equivale alla morte? Squid Game, in nove episodi di circa 50 minuti ciascuno, racconta la storia di persone emarginate, alla ricerca disperata di denaro, a cui capita di ricevere un invito misterioso.

Rinchiusi in un luogo segreto, 456 concorrenti, appartenenti a tutti i ceti sociali, partecipano a un torneo fatto di giochi per bambini. La posta in gioco è vincere un’ingente somma capace di cambiare la vita a chiunque. Sembra tutto facile, ma la regressione al magico universo dell’infanzia nasconde un brusco ritorno allo spietato mondo adulto: chi perde muore. L’esclusione sociale, la marginalizzazione si trasforma nel sacrificio estremo: la morte.

Chi ha orchestrato questo grande terribile gioco e perchè? Ovviamente non spoileriamo, ma vi anticipiamo una domanda che vi tormenterà per l’intera serie: la lotta per la sopravvivenza e per alcuni personaggi al diritto alla dignità farà prevalere l’egoismo o la possibilità di organizzare una possibile resistenza che preveda una sorta di solidarietà?

cibo e squid game: la serie di Netflix che ci interroga sulla nostra società squid game e cibo: la lotta di classe e la perdita dei valori

Squid Game una serie inquietante e magnetica che racconta la deriva della nostra società

La serie si apre con il “gioco del calamaro”, da cui prende il nome il K-drama. I bambini giocano un gioco complesso in una “gabbia” che ha la forma di un calamaro disegnata con il gessetto. Una voce fuori campo adulta spiega le regole del gioco.

Il protagonista Seong Gi-hun è un giovane che vive con la madre. É talmente squattrinato da doverle chiedere i soldi per portare la figlia Ga-yeong a cena e farle un regalo. Gioca , vince, ma è costretto alla fuga inseguito da feroci debitori.

Nella fuga viene derubato e raggiunto dagli inseguitori che lo costringono a firmare un documento in cui dichiara che perderà un occhio e un rene se non pagherà entro un mese il suo debito. A questo punto incontra un uomo alquanto singolare che lo sfida a uno strano gioco fatto di schiaffi. Invitato da questo losco personaggio, decide di partecipare ad un gioco che potrebbe fargli vincere una somma di denaro capace di risolvere tutti i suoi problemi.

Seong Gi-hun accetta e, dopo essere stato narcotizzato, si risveglia su un’isola con altri disperati che hanno accettato di giocare a un gioco pericoloso, in cui è facile perdere la vita. Da qui non vi raccontiamo più nulla per non farvi perdere le emozioni di una serie potente, inquietante e magnetica.

Il cibo e Squid Game, metafora di una società in cui persino i soldi hanno perso il loro valore

Lo scrittore e regista coreano Hwang Dong-hyuk usa spesso riferimenti al cibo per costruire il clima di terrore in cui vivono i protagonisti. Eccovi qualche esempio.

Al di là del gioco in cui i giocatori dovranno cimentarsi con degli apparenti innocui e zuccherosi Dalgona a base di zucchero e bicarbonato di sodio (qui trovate la ricetta di una gustosa proposta), come dimenticare la scena del sidro e dell’uovo, dove la scarsità di cibo offerto dopo una terribile sfida, diventa la scusa per costruire fragili alleanze e creare il clima ideale per combattersi l’uno con l’altro? “Sono appena arrivato vicino alla morte”- dice il gangster Jang Deok-su – e cosa ottengo per tutto questo? Un uovo per un pasto. Stronzi.”. La lotta per la sopravvivenza spinge gli uomini a rifiutare ogni forma di solidarietà, a sfruttare la propria forza e le debolezze altrui per soddisfare i propri bisogni, tradendo anche i legami di amicizia.

Non solo, il cibo serve anche a descrivere la disperazione in cui versano i dannati di Squid Game. Il protagonista, rincorso nei bagnidagli aguzzini che pretendono la restituzione del suo debito, gli premono un coltello sotto il naso, tenendogli sotto una ciotola per raccoglierne il sangue. “Il tuo sangue era gustoso” – ringhia lo strozzino – “io e i miei ragazzi dovremmo farci una bella zuppa deliziosa.

Il cibo delimita poi l’appartenenza alle classi sociali. Il protagonista non ha i soldi per offrire alla figlia una lauta cena per il compleanno. Si deve accontentare di un proletario tteokbokki. E la figlia senza pietà chiosa: “Va bene. Siamo andati con il mio patrigno in una steakhouse prima.”

Il cibo serve per nascondere messaggi a chi si vende per salvarsi, così come diventa una falsa ricompensa prima della sfida finale. Ai sopravvissuti, ben vestiti, è servita una succulenta bistecca e un bicchiere di vino rosso per essere arrivati a quella finale che vedrà vincere un solo concorrente. Una cena surreale in cui la bistecca che sanguina ricorda i delitti di cui si sono macchiati e il pericolo che ancora corrono.

squid game e cibo

Cibo, sopravvivenza, scomparsa dei valori, perdita del piacere, lotta per conquistare il nulla, ecco Squid Game

La serie, ben costruita, lascia l’amaro in bocca: se anche il cibo da sempre raffigurato come metafora di convivialità, solidarietà, compassione e carità si trasforma in uno strumento dell’individualismo sfrenato e della vacuità del denaro, non è forse il caso di recuperare quel gusto che non equivale alla ricerca della grande abbuffata?

Spoiler: ci sarà la stagione 2, anche se non immediatamente. Lo scrittore della serie vuole che Netflix includa nel suo catalogo alcuni dei suoi lavori precedenti.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

GIPHY App Key not set. Please check settings

Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

Salov e il Bilancio di Sostenibilità

Salov e il Bilancio di Sostenibilità: sostenibilità ambientale, sociale ed economica

bilancio di sostenibilità presentato da IGI

La nuova stagione del gelato: il Bilancio di Sostenibilità presentato da IGI