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#ShotMovieFood. I labirinti del cioccolato

Recensioni cinema di Luca Cardone
Luca Cardone: “Se Feuerbach avesse ragione e fossimo ciò che mangiamo, io sarei cinema, filosofia, poesia e altri pochi piatti, tutti possibilmente a base di carne e pesce. Poco Gourmet nel pratico ma tanto nello spirito. Il mio tentativo è quello di approfondire filosoficamente il cosmo culinario all’interno del cinema”.

Frames in ordine sparso una volta ogni quindici giorni, in esclusiva per Famelici, degustati per voi da Luca Cardone.

Cremoso o solido, amaro o dolce, al latte o fondente, croccante o morbido. Si, parliamo del cioccolato, delizioso e succulento nettare naturale, oggi trattato nei modi più disparati possibili pur d’incantare il più difficile dei palati. Se per i più giovani l’unica categoria valida è la quantità, c’è chi ne fa una vera e propria passione e lavoro, chi insegue la qualità a oltranza, sempre e comunque. Complesso o meno, il cioccolato ha da sempre il suo fascino. Ma chi ha saputo costruire sul cioccolato una categoria nuova, attraverso storie di mistero, non sono stati i grandi maestri cioccolatieri, non le grandi fontane maestose, le sculture ricoperte di scaglie o i dessert al meglio impiattati. Il cioccolato si fa misterioso al cinema.

Da “La fabbrica di cioccolato” a “Grazie per la cioccolata”, il dolce più buono del mondo è stato raccontato a più riprese sul grande schermo in modi sempre differenti. Nei particolari casi dei due film qui citati, lo sguardo con cui lo spettatore si tuffa nel gusto del visto è assai diverso, ma parte dalle medesime basi: il mistero.

Gli stessi percorsi di Chabrol e Tim Burton sono divergenti , due vie che non si incontrano mai. Questa volta siamo noi a farli dialogare, amalgamandoli assieme in un dolce originale, un prodotto casereccio insolito, ma con il suo perché. E diciamolo fin da subito, a metà tra il thriller e il fantastico, ad assaltare le papille sarà l’agrodolce.

“La fabbrica di cioccolato” sta a Willy Wonka come “Merci pour le chocolat” sta a Marie-Claire, ossia parliamo di quella fantastica attrice di nome Isabelle Huppert, regina del cinema francese. Uno progetta un gran concorso per selezionare un giovane erede per sua grande fabbrica di cioccolato; l’altra, sociopatica, avvelena le sue vittime con un sonnifero per raggiungere i suoi scopi da gelosa, maniaca e paranoica. Per farla breve, il suo compagno e pianista Polonski riceve le visite di una giovane ragazza di nome Jeanne, sedicente figlia dell’uomo e scambiata alla nascita, in cerca di aiuto per la preparazione del suo pezzo in vista dell’ammissione in conservatorio. Marie-Clarie, nota affarista nel campo della cioccolata, è dunque solita servire a cena ai suoi ospiti una deliziosa tazza di calda bevanda color nocciola, diluita con benzodiazepina per tenere lontana qualsiasi minaccia dal suo rapporto con Polonski.

Stessa la bevanda ma differenti i moventi, i modi di fare e l’estetica. Willy Wonka è un vero mattacchione. Veste eccentrico e sembra disgustato dai bambini capricciosi. Per via di suo padre, severissimo dentista, sviluppa una vera e propria reazione contro i divieti sui dolci che lo conduce alla gestione della più grande officina sforna tavolette di cioccolato del mondo. Prepotente è la caratterizzazione burtoniana del personaggio, come al solito sia sinistra che vivace, malinconicamente vivace.

 

Marie-Claire è una donna borghese astuta e perfida, in affari ma con grande occhio per la vita privata, pronta a qualsiasi cosa per raggiungere i propri obiettivi. Tutto va a braccetto con i contesti classici del teatrino cinematografico francese da salotto, quello di Chabrol e, alla lontana, dei vecchi amici di Cahiers du cinéma.

Abbiamo parlato di mistero. Misterioso è dunque il vero e proprio culto che la macchina da presa di Chabrol propone su tutte le sequenze di preparazione e degustazione di cioccolato da parte della donna e dei suoi ospiti. La domanda che ci frulla in testa poi è sempre la stessa: sarà genuino questa volta oppure no? Perché non serve mica la palla magica per capire che il cioccolato non sia davvero semplice cioccolato.

Nel tour del signor Wonka, nella sua fabbrica, i misteri si sprecano davvero. Bambini che scompaiono con modalità stravaganti, bizzarri nani canterini e danzanti chiamati umpa lumpa che inscenano improbabili balletti  e commentano i fatti spiacevoli accaduti agli altri ragazzini.

Il cioccolato in entrambi i casi si fa motivo di esclusività. Dove Marie-Claire tenta con il cioccolato di mantenere sotto scacco la relazione con il suo compagno, escludendo chiunque tenti di avvicinarlo, Willy Wonka esclude dal suo tour, stanza dopo stanza, i bambini che non meritano di proseguire oltre, e quindi di ereditare la fabbrica di cioccolato. In entrambi i casi il dolce tiene sempre fuori qualcuno. Saranno d’accordo con me i mastri cioccolatieri, quelli per cui il cioccolato è d’élite.

Insomma, il cinema sa servire il cioccolato rinnovandosi: ora macabro, poi festoso, prima adulto e serio, poi infantile e capriccioso. Sempre possiamo dirlo agrodolce, mai univoco, mai stucchevole e dall’unica e incontrovertibile interpretazione, entrambe le vie  pericolose, perché il cioccolato scorre lucido sul filo di un rasoio. Non vi resta che bere una tazza di dolce e cremoso chocolat, ma  attenti a compagne gelose e strani proprietari di fabbriche con il cilindro sulla testa.

Luca Cardone

 

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