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La nuova ristorazione: dal menu al percorso degustazione

Che cosa è un menu degustazione

Dopo la “rivoluzione” della ristorazione avvenuta negli anni Ottanta, in molti locali il “menu turistico” ha lasciato il posto a quello “degustazione”. A dire il vero, solo la ristorazione più evoluta ha, di fatto, saputo coglierne le opportunità: consentire al cliente di percorrere un tour gastronomico che gli permettesse di conoscere i piatti più significativi del locale.

Il rischio di un menu degustazione? Il prevalere dell’ego dello chef. Il desiderio del cuoco di far conoscere le preparazioni più significative della propria cucina hanno portato spesso a proporre una serie di piatti alla rinfusa, più o meno organicamente pensati ed elaborati. Interminabili portate di piccoli assaggi pilotati dallo chef rischiano così di confondere il cliente. Molti ingredienti, diverse tecniche di cottura, tante salse: un vero pranzo di Babette!

La tirannia del menù degustazione

Oggi taluni ristoratori hanno eliminato il menu alla carta a vantaggio del menu degustazione. La ragione? Ci si può concentrare solo sulla preparazione di alcune portate, proponendo una linea di cucina più semplice ed economica. Certo una decisione pericolosa: non tutti amano essere guidati nella scelta dei piatti. Il ristorante è un “servizio” che presuppone il raggiungimento di un equilibrio difficile tra creatività del cuoco e desideri dell’ospite. Non va poi sottovalutato il ruolo della capacità di instaurare la relazione tra le tre “C”:

  • cuoco
  • cameriere
  • cliente.

E se il menù degustazione si trasforma in un catalogo senza senso?

Il rischio è che il menu degustazione si trasformi da un modo di fare conoscere il proprio percorso gastronomico in un espediente per imporre il proprio pensiero anche dove non è richiesto. Il commensale non è un attore passivo, deve essere coinvolto nella costruzione di un’esperienza gustativa. Parafrasando Voltaire: la libertà del cuoco finisce laddove inizia quella del cliente.

Dal menù degustazione alla proposta del percorso gastronomico

Oggi, nonostante il menu degustazione sia un modo ancora apprezzato per godere di un pranzo o una cena in uno dei migliori ristoranti, si comincia a prospettare un nuovo approccio alla cucina. Non più menu ma percorsi degustativi. Uno dei primi a proporli è stato lo chef Claudio Sadler nell’ultimo libro “I miei nuovi menu”, dove ragiona non in termini di ricette ma di percorsi articolati in diversi piatti che raccontano una storia.

Come si costruisce un percorso gastronomico?

In differenti modi: dalla propria biografia, dall’influenza di culture diverse, dalla tradizione, dal rispetto delle ricorrenze fino alla loro rivisitazione. Un menu è l’unione di un aspetto concettuale ed estetico. Deve essere semplice e comunicabile, creare uno stile.

La nuova ristorazione: dal menu al percorso degustazione. I sette mantra di Claudio Sadler

  • Semplicità: pochi ingredienti di qualità eccelsa, rispettando la stagionalità.
  • Benessere ed esaltazione del gusto: ricerca della leggerezza e dell’equilibrio.
  • Rispetto materia prima: mantenimento dei sapori.
  • Declinazione dei sapori: dai toni più sfumati fino ai più robusti.
  • Evitare ripetizioni: mai usare gli stessi ingredienti nella medesima preparazione.
  • Combinazione di gusti: tradizione e innovazione si sposano per cercare un equilibrio.
  • Ricerca dell’unicum: rendere un’esperienza capace di coinvolgere i cinque sensi.

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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