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(Dis)informazione, fake news e necessità di riscoprire una parola: etica

Fake news, inesattezza delle notizie, intenzionalità nella costruzione di pregiudizi. L’obiettivo? Destabilizzare l’opinione pubblica se non manipolarla, costruendo fazioni contrapposte incapaci di dialogare in modo pacato e costruttivo. Questi i punti trattati dal Tavolo Tematico “Contenuti della rete: vero, verosimile e falso” in occasione dell’Ethical Digital Award, tenutosi a Milano pochi giorni fa al 24° piano della sede di Qwant (motore di ricerca etico francese).

Anche Famelici contribuisce a dare informazioni, offrire spunti per un dibattito che cerca di coniugare il mondo dell’enogastronomia alla cultura, rifiutando di ridurre il cibo al solo atto del mangiare. Non possiamo esimerci da interrogarci sulla necessità di riflettere sul valore etico dell’informazione.

Le fake news sono sempre esistite, ma Internet ne ha evidenziato le problematiche. Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli organi d’informazione soprattutto quelli generalisti, per cui è diventato sempre più difficile il controllo della veridicità delle notizie.

La libera circolazione dell’informazione va sempre difesa, va invece combattuta l’intenzionalità di chi produce la falsa notizia, smascherando la motivazione ideologica che ne sta alla base.

Il pericolo della disinformazione  e delle fake news non deve limitare la libertà di espressione

La disinformazione, il cui scopo è quello di spingere a non credere a nulla per credere a tutto, si basa su tre punti:

  • costruzione della fake news
  • la sua trasformazione in informazione per fomentare la formazione di piccoli gruppi radicali rumorosi capaci di trascinare il dibattito e renderlo rilevante culturalmente (un esempio per tutti l’emergenza migranti)
  • la sua diffusione con l’obiettivo di minare l’autorevolezza dei mezzi d’informazione accusati di difendere imprecisati “poteri forti”.

Si cerca in ogni modo di intercettare chi ha conoscenze superficiali e chi, vittima della sfiducia, cerca disperatamente un “gruppo” con cui schierarsi. Si acquisisce così quella sicurezza suggerita dall’appartenenza ad uno schieramento con un consenso che è già pre-confezionato. In un clima in cui i poteri intermedi – partiti, informazione, giornalisti – sono messi in discussione non tanto per ciò che propongono ma per quello che rappresentano, è facile che la notizia meglio confezionata abbia successo senza bisogno di alcuna verifica.

Come contrastare un fenomeno che sta assumendo proporzioni allarmanti? Senza dubbio si possono porre delle regole, ma la migliore arma sembra essere la cultura e dunque l’educazione. Cultura è sinonimo di pensiero critico, non di acquisizione di verità. La tecnologia può semplificare azioni o diffondere idee che però non devono perdere la loro complessità. Bisogna battersi per la pluralità e la correttezza delle informazioni sulle piattaforme digitali educando chi le utilizza.

Evitiamo quel “panico moralistico” che ci può portare a limitare la libertà, piuttosto aumentiamo le contromisure culturali, evitando la rincorsa ai facili “like” o alla trasformazione dei media in “contenitori emozionali”.

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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