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Coriandolo, il protagonista della cucina indiana (odiato in Europa)

Il coriandolo, erba aromatica, dal bel colore verde, è il protagonista indiscusso di molte ricette indiane, ma in Italia pochi lo conoscono e lo amano. Si è meritato l’Hate Coriander Day!

Se il basilico richiama alla mente l’Italia e la maggiorana la Francia, il coriandolo fa pensare subito all’India. Si tratta di una pianta versatile, che ha il pregio di essere utilizzabile dalla foglia al gambo, dalla radice al seme. La parte migliore? La radice.

Curcuma, peperoncino rosso e coriandolo macinato (spesso mescolato con cumino) sono gli ingredienti di molte salse indiane utilizzate per insaporire lenticchie o piatti di verdure. Poco conosciuto in Italia, di un colore poco appariscente, il coriandolo è una spezia assai versatile che si presta a mille usi. Se i suoi semi macinati richiamano il sapore delle nocciole, i gambi e le foglie regalano una dolce piccantezza. Come polvere è utilizzato per esaltare il gusto del curry.

A differenza che in Europa, in India, è conosciutissimo tanto che nei mercati gli ambulanti spesso ne regalano un mazzetto a chi ha fatto la spesa presso il loro banco. Ma in Europa non solo è snobbato, è addirittura odiato. Non ci credete? Sappiate che il 24 febbraio è l’Hate Coriander Day. Chi lo detesta sostiene che sa di sapone e che ha un odore sgradevole. E per avvalorare la sua tesi ricorda che il suo nome deriva dalla parola greca koris, che significa “cimice”. Dunque il nome sarebbe stato scelto per indicare il suo odore pungente.

Il coriandolo, l’eroe della cucina indiana

“I hate cilantro” è un hashtag di successo in rete che riunisce diverse community di antagonisti di un’erba aromatica da molti considerata puzzolente, usata dalla cucina thai, vietnamita, cinese, ma anche sudamericana, in particolare messicana e peruviana.

Gli asiatici del Sud usano spesso il coriandolo, non solo alla fine come insasporitore, ma anche nella fase di preparazione dei piatti. Durante la cottura di un sugo, la polvere di coriandolo viene utilizzata insieme a curcuma e cumino per rapprenderlo e per dare un retrogusto leggermente acido. I semi di coriandolo sono aggiunti spesso alla tadka, una tecnica di temperamento (infondere il grasso, friggendo l’olio, con spezie e aromi) da aggiungere ad un piatto per esaltarne il sapore, mentre le foglie vengono spesso macinate in un chutney (salsa agrodolce) o aggiunte con parsimonia a una raita, una salsa a base di yogurt spesso arricchita con frutta. Il coriandolo fresco può anche essere tritato finemente per decorare i piatti.

La facilità con cui si trova, la sua declinabilità in diverse ricette gli ha paradossalmente fatto perdere importanza. È  diventato un ingrediente comune, a cui non si presta più attenzione. Lo si dà per scontato. Ranveer Brar, ristoratore e giudice di MasterChef India, ha avviato addirittura una petizione su Change.org per ridare valore al bistrattato e spesso dimenticato coriandolo. Un successo: la petizione ha raccolto più di 32.000 firme.

L’uso del coriandolo risale a migliaia di anni fa ed era conosciuto in molte parti del mondo. In India risale all’epoca dei Veda e della scrittura sanscrita (rispettivamente dal 6000 a.C e dal 1500 a.C). È stato per lungo tempo usato come medicina e alimento funzionale per dare benessere. Qualche esempio? Il coriandolo mescolato con il finocchio è un rimedio per l’indigestione, così come 20-25 foglie di coriandolo bollite nel latte danno un sollievo immediato a chi soffre di mal di schiena e di dolori mestruali. E se cominciassimo ad usarlo anche noi?

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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