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Chiusura del Noma: dramma o possibilità di una nuova cucina gourmet?

Lo chef René Redzepi gela il mondo della cucina gourmet: il modello su cui ha costruito un impero non è più sostenibile. La chiusura del ristorante Noma che cosa ci racconta?

Per René Redzepi il Noma, il miglior ristorante al mondo, con ben tre stelle Michelin, non funziona più economicamente e propone di ripensare il modello dell’alta cucina diventato ormai insostenibile.

René Redzepi ha stupito tutti annunciando la chiusura del miglior ristorante al mondo: il Noma. Come rivela il New York Times, il ristorante che ha imposto nel mondo dell’alta cucina il New Nordic dining, la cucina che rispetta le stagioni e che decreta il successo della fermentazione e del minimalismo scandinavo “diventerà nel 2024 un laboratorio a tempo pieno“. Un team si chef svilupperà nuovi piatti e prodotti per Noma Projects, proposti poi attraverso l’e-commerce. Le sale da pranzo apriranno solo per alcuni pop-up. E il futuro di Redzepi? Sembra essere più quello di uno chief creative officer che quello di uno chef. René Redzepi è diventato consapevole che il modello si cui si fonda il Noma è troppo costoso. La manodopera a basso costo e gli stagisti non garantiscono più i livelli a cui è arrivato il Noma. “Economicamente ed emotivamente, come datore di lavoro e come essere umano, – dichiara lo chef– semplicemente non funziona”.

La chiusura del Noma è il tramonto di un mito

Aderendo ai valori promossi dal manifesto della nuova cucina nordica, redatto nel 2004 dall’attivista alimentare e imprenditore Claus Meyer e da altri chef scandinavi, Redzepi ha dimostrato come fosse possibile proporre una cena gourmet esaltando l’autenticità, la semplicità e la freschezza degli ingredienti autoctoni.

Lo chef danese è conosciuto in tutto il mondo per aver rivoluzionato la cucina gourmet con la sua proposta di un’esperienza gastronomica 20 anni fa giudicata rivoluzionaria: l’attenzione ai ritmi delle stagioni, la scelta e il rispetto degli ingredienti del territorio. La filosofia di René Redzepi  si è scontrata con la realtà. I ristoranti sono, infatti, un’attività commerciale destinata alla preparazione e al servizio di cibi e bevande, la cui struttura contabile si basa sul fatto che il conto pagato dagli ospiti serva a coprire la somma dei costi delle materie prime, delle spese per il personale, le pulizie, l’energia, gli affitti, gli ammortamenti, le tasse … e che preveda una piccola percentuale di profitto. Una regola che vale per tutti, anche per chi ha saputo acquisire tante stelle Michelin.

Come dichiarato da René Redzepi al New York Times il Noma chiuderà nel 2024. È la fine di un mito? Per anni lo chef danese ha rappresentato la realizzazione fel sogno di molti chef. Sembrava possibile proporre con successo al proprio cliente una cucina sperimentale, offrendo un vero spettacolo gourmet basato sulla messa in scena di diverse declinazioni di un solo ingrediente senza bisogno di artifici. Non solo, René Redzepi aveva sconfitto il pregiudizio consolidato che il primato culinario potessero giocarselo solo la cucina italiana o francese. La sua creatività ha consentito al Nord Europa di affacciarsi sulla scena gastronomica, imponendi una filosofia vincente.

L’alta cucina è sostenibile?

I ristoranti gourmet sono isole paradisiache dove si esaltano gli ingredienti e la creatività degli chef o luoghi dove cresce il disturbo mentale, il bullismo e le molestie sessuali? Che abbiano ragione i film e le serie tv che raccolgono sempre più i favori di un pubblico alla ricerca della verità? Caccia alla gloria o ricerca inconscia dell’autodistruzione? È possobile poi sostenere i costi di un ristorante stellato che insegue l’innovazione e la ricerca? “La possibilità di retribuire equamente quasi 100 dipendenti, pur mantenendo standard elevati, a prezzi che il mercato possa sostenere, non è praticabile. Dobbiamo ripensare completamente la ristorazione”, dichiara Redzepi al New York Times.

Cibo è cultura e il ristorante fino ad oggi lo ha garantito

Il cliente di un ristorante sceglie di vivere l’esperienza culinaria per diversi motivi: perchè ha fame, perchè vuole condividere un momento conviviale con altre persone, perchè sa che il cibo è cultura. I ristoranti fanno parte dell’industria culturale. Sono luoghi dove si incontrano culture diverse, dove gli ingredienti vengono lavorati con perizia e creativirà. Non solo, fanno conoscere al commensale un territorio, la sua tradizione, la sua storia e i suoi costumi.

Dalla nascita e dall’affermasi della borghesia il ristorante è anche diventato il metro per comprendere le differenze sociali. Negli ultimi anni i ristoranti più ricercati e più costosi sono quelli che perccorrono la strada dell’innovazione in nome della creatività. Il ristorante più ambito è il ristorante d’autore, il ristorante dello chef capace di aprire sentieri inesplorati. Negli ultimo anni il mondo della riswtorazione ha conosciuto l’imporsi dell’individuo a scapito del riconoscimento dell’importanza della brigata.

Il fallimento della cucina stellata

La ricerca, la volontà di ottenere il consenso dei clienti e dei media ha portato a investire molte risorse finanziarie nella comunicazione e di conseguenza a dover presentare conti esorbitanti. Pensate poi a quanto può costare trovare l’ingrediente migliore, sostenibile, lavorarlo con tecniche sofisticate, impiattarlo in modo ricercato e su piatti di un design ricercato. Non solo, i costi per gestire i social media, ormai diventati un’arma a doppio taglio.. E poi è stata davvero vincente la scelta dei menu degustazione? A tutto ciò si è aggiunta la difficoltà di trovare personale. I più giovani vogliono lavorare per permettersi una vita che preveda il tempo libero. Sono meno interessati ad affermarsi nel mondo del lavoro.

Quanti chef possono sostenere costi esorbitanti? Pochi sono quelli che possono partecipare all’economia delle superstar, ovvero di quei cuochi che, sebbene i loro ristoranti siano quasi vuoti, generano entrate con il franchising, la pubblicazione di libri, la partecipaziome a format televisivi o a costose scuole di formazione, la cessione della propria immagine per la pubblicità Funziona solo per una piccola élite. Al di là delle scelte di René Redzepi che sicuramente troverà la sua strada, che cosa accadrà alle migliaia di ristoratori che non sono celebrità? Come si evolverà il ristorante per non perdere la sua importante funzione culturale?

Il commento famelico

Anche l’alta cucina deve osservare le regole che impongono il rispetto del lavoratore.

Lo so che sto per scrivere quello che per molti critici è una bestemmia. Ma è la mia opinione. Non piango per la chiusura del Noma. Riconosco i grandi meriti di René Redzepi e della sua capacità di aver influenzato la cucina di tutto il mondo. Ma al di là della difficoltà a procedere alla prenotazione di un tavolo, il costo del ristorante è davvero troppo elevato. La cena compresi i vini arriva a costare 5.500 corone (800 euro!).

Sono, invece, felice che lo chef danese abbia finalmente compreso che un ristorante che si basa su una manodopera sottopagata o non retribuita non è in modello eticamente sostenibile. È forse giunto il momento di riflettere se il futuro della cucina gourmet possa fondarsi su uno chef trasformato in un guru a cui tutto è permesso. Le lodi sperticate a René Redzepi hanno sfiorato quel fanatismo che ha fatto scrivere a un quotidiano danese, il Politiken, che il grande chef ha messo in discussione la libertà di espressione costruendo un “fascismo sotto le mentite spoglie dell’avanguardia”. Lo chef danese Rasmus Grønbech ha rivendicato la libertà di poter seguire anche strade diverse. “Amiamo l’olio d’oliva“- protesta lo chef – “Perché non possiamo usarlo solo perché siamo in Danimarca?

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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