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Al Balloon Museum le visioni oniriche della Pop Air

12 artisti raccontano nuovi cosmi dove forma e colore sono estremizzati e i sensi sono chiamati a sollecitazioni costanti ma…leggere. Ce lo racconta Raffaella Borea,

Milano come Roma e Parigi, quanto meno quando si parla di Pop Air che fa dei gonfiabili un’arte. Tra onirismo e gioco, ritorno all’infanzia e voglia di sognare, il “fanciullino” incontra il Piccolo Principe ed insieme nuotano nell’”Hypercosmo” di Hyperstudio, macroinstallazione emozionale, sospesa tra cielo e terra, dove l’uomo è chiamato ad immergersi vivendo un’esperienza totalizzante. Benvenuti a Balloon Museum, l’esposizione che non ti aspetti. Tra intrattenimento culturale e stimoli visionari, Superstudiopiù ospita, sino al 12 febbraio, un viaggio nella leggerezza che divertirà i più piccoli e entusiasmerà gli adulti. A rincorrersi, in un percorso sensoriale, dove il colore domina prepotente, sono le opere di 12 artisti capaci di valicare le forme convenzionali, trascendendole.

La visione onirica della Pop Air

Balloon Museum le visioni oniriche

Tra arte, creativo e pubblico si crea un continuum che azzera lo spazio-tempo e suggerisce nuove dimensioni. In questo nuovo mondo, armonica fusione tra reale e digitale, tutto sembra possibile e fortemente instagrammabile. Ma a vincere è lo stupore, sin dall’ingresso dove ci si trova avvolti da una moltitudine di palloncini persi nel cielo che, grazie al sound design immersivo, creano un non-luogo (“Aria” – Pepper’s Ghost studio). 

A riportare sulla terra è, invece, l’installazione ambientale di ENESS che, con “AirshipOrchestra, mette in contatto il visitatore con una mistica tribù di personaggi ultraterreni, teletrasportati dalle stelle della notte, con la pelle segnata dal viaggio nella galassia e le voci come polvere di stelle. Ciascun personaggio produce infatti una melodia che si confonde in un coro a più voci, punteggiato dalla sincronizzazione di inattesi cambi luce.

Enormi installazioni dai colori accesi e impressionanti sculture geometriche interattive, sono invece la cifra stilistica di Cyril Lancelin, la cui opera (“Knot”) si ispira al nodo trifoglio, forma primitiva su cui si modella il disegno della struttura tridimensionale. Una linea, di cui non si ha percezione dell’inizio e della fine, crea una forma labirintica, che stimola ad intraprendere direzioni ignote, superare i possibili ostacoli, smarrirsi e farsi sorprendere fino a incappare sulla strada giusta.

Passaggi che abbattono ogni confine

Dalla strada al mare sconfinato è un soffio, se si ci lascia avvolgere dalla tempesta silenziosa, leggera e morbida evocata da “Quiet Storm” di Quiet Ensamble, in cui un’infinità di sfere bianche cadono a terra come bolle di sapone che accarezzano la pelle. Tra meraviglia infantile e recupero della magia delle piccole cose, è la fragilità che viene evocata e protetta. Se in questa “Tempesta tranquilla” i confini sembrano non esistere, le dimensioni si recuperano con “Giallo 368” di Penique Productions, che fanno della stanza un pretesto attraverso il quale riflettere il modo in cui l’uomo interagisce con l’ambiente, protagonista assoluto in “Canopy” di Pneuhaus. Pedalando su apposite biciclette, si contribuisce infatti ad animare l’installazione composta da sculture luminose simili ad alberi che si trasformano, si illuminano, emettono suoni e si espandono continuamente. 

Sensazione analoga in “Never Ending Story” di Motorefisico in cui si perdono i riferimenti usuali a favore di un universo multiplo dove tutto sembra essere sospeso e immobile, tranne la presenza umana, unica fonte di movimento.

Un finale che esalta l’itinerario immaginifico

L’itinerario immaginifico si conclude con una serie di tappe che celebrano il ritorno alle origini – imperdibili i “Ginjos” di Rub Kandy che realizza una tribù di individui misteriosi, di origine sconosciuta, che con la loro iconicità gommosa sono candidati a diventare il tormentone dell’evento, ndr – e contemporaneamente proiettano nel futuro. Un futuro in cui la contaminazione (di idee, di materiali, di sperimentazioni) è la sovrana. Lo racconta al meglio “Silenus” di Max Streicher che dà anima ad una gigantesca sagoma gonfiabile composta da un delicatissimo spinnaker di nylon, tipicamente utilizzato nella costruzione di vele da regata, che, supino, con braccia e gambe protese, si riempie di aria fluttuando, come un astronauta nello spazio o uno spirito pronto ad elevarsi.

Dove: Superstudiopiù | Via Tortona, 27 – 20144 Milano, MI

Quando: sino al 12 febbraio

Info: https://balloonmuseum.world/

ARTICOLO E FOTO DI RAFFAELLA BOREA

 

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