Forse il climate strike non cambierà il mondo, ma di certo sta scuotendo le nostre coscienze. Greta Thunberg sembrava fino a un anno fa atterrata sulla terra da un altro pianeta. Da sola ha iniziato una battaglia che sembrava poco mediatica. Eppure ha saputo esprimere quella rabbia che tanti giovani covavano senza saperla esprimere. Di cosa ci rimproverano? Del furto del futuro e del desiderio di progettarlo.
La ragazzina con le trecce un giorno ha deciso di sedersi davanti al parlamento svedese con un cartello e dei volantini in cui dichiarava, senza mezzi termini: “Lo faccio perché voi adulti state cagando sul mio futuro”. Molti le hanno dato della pazza, ma il 20 settembre 2019 quattro milioni di persone in 163 paesi hanno partecipato a oltre 2500 tra manifestazioni ed eventi per protestare contro la mancanza di attenzione nei confronti dei cambiamenti climatici. Molti giovani, ma anche professori e scienziati.
Greta e il climate strike: abbiamo ammazzato il futuro dei giovani prolungando un presente senza tempo. Perchè ci stupiamo se cercano di costruirlo immaginando una vita migliore?
Serve a qualcosa uno sciopero per salvaguardare il Pianeta? Probabilmente no, nulla cambierà nell’immediato. Che cosa possono fare dei ragazzi che come arma brandiscono dei cartelli? Cambiare le nostre coscienze, farci riflettere, imporci delle domande a cui occorre rispondere. Per risolvere il problema, quando ammetteremo che è un problema, ci vorranno decenni.
Si tratta di attuare importanti cambiamenti economici che muteranno i nostri stili di vita. E tutti sappiamo che le rivoluzioni economiche incontrano numerose resistenze. Ma i mutamenti reali necessitano per imporsi di grandi cambiamenti culturali, la formazione di nuove idee capaci di suscitare passioni.
Ecco quello che sta facendo la piccola Greta. Sta ridando voce ai giovani e alla loro voglia di futuro. Al di là del nobile desiderio di salvare il Pianeta, dietro alla loro protesta si nasconde il grido di dolore di una generazione che si vede rapinata da quelle madri e da quei padri che avrebbero dovuto regalargli il sogno di costruire un mondo migliore.
Il cinismo di chi dichiara che le manifestazioni non servono a niente, dimenticando di appartenere a quella generazione che ha creduto di cambiare il mondo anche attraverso la protesta, sono un penoso tentativo di nascondere che abbiamo ammazzato il futuro allungando i tempi del presente.
Ci dà forse fastidio che una giovane donna ci dica in faccia, senza usare termini politically correct, che non siamo stati in grado di costruire un mondo migliore, che abbiamo dato vita a una società fatta di individui egocentrici incapaci di costruire comunità vivibili?
Protestare, urlare la propria rabbia è lecito e liberatorio. Torniamo ad incazzarci e se abbiamo bisogno di essere presi per mano da una giovane donna, non dobbiamo avere paura di farci guidare. Gridare in faccia a chi dovrebbe rappresentarci: “fate qualcosa o non vi perdoneremo mai” è l’inizio di una battaglia che porta alla riappropriazione della politica nel suo reale valore che non può essere ridotto a un Mojito bevuto su una spiaggia romagnola.
La politica, quella vera, non è quella che propone piccoli cambiamenti, una pezza qui e una là. La politica è quella che disegna il futuro, che costruisce utopie. Solo così si riforma il mondo e forse si ha la speranza addirittura di cambiarlo. Personalmente trovo insopportabile dovermi vergognare di vivere in un mondo che non mi piace e che vorrei contribuire a cambiare. Per svegliarci occorre la determinazione di Greta. Va benissimo se ci ricorda che non c’è libertà, senza responsabilità.
Da dove partire? Dall’ammettere che abbiamo costruito un modello economico e sociale basato sull’assurda idea di una crescita infinita su un pianeta con risorse finite. Solo da qui può partire un reale cambiamento culturale per costruire un nuovo modello politico e sociale capace di creare un mondo meno precario e più giusto. Servono con urgenza modelli altri, un nuovo “fantasma” che si aggiri per il mondo.
Forse la generazione che sta invadendo le nostre piazze, costringendoci una volta tanto a fermarci per riflettere, non salverà il Pianeta, ma almeno salverà se stessa!
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