in

#ShotMovieFood. Jan Svankmajer: quando il cibo incontra un genio

Frames in ordine sparso una volta ogni quindici giorni, in esclusiva per Famelici, degustati per voi da Luca Cardone.

Recensioni cinema di Luca Cardone
Luca Cardone: “Se Feuerbach avesse ragione e fossimo ciò che mangiamo, io sarei cinema, filosofia, poesia e altri pochi piatti, tutti possibilmente a base di carne e pesce. Poco Gourmet nel pratico ma tanto nello spirito. Il mio tentativo è quello di approfondire filosoficamente il cosmo culinario all’interno del cinema”.

Parlare di cibo, nel cinema così come nella video arte, è fare dell’elemento culinario uno strumento, un filtro per lanciare uno sguardo nuovo sul mondo e sull’essere umano; un trampolino per indagare in modo critico ciò che è intuito e spesso non detto. Tra gli autori che maggiormente hanno orbitato attorno al mondo culinario, sorvolandone i cieli con la macchina da presa, spicca con prepotenza il nome del regista ceco Jan Svankmajer, che più di altri ha saputo inventare un vero e proprio modo alternativo di mostrare ciò che strettamente si lega al contesto pasto, servendosi di esso per lanciare messaggi rumorosi. Svankmajer può oggi sembrare obsoleto, un oracolo del risaputo. Fatto sta che ai tempi dei suoi film e cortometraggi (fine anni 80 e inizio dei 90) nulla era dato per scontato e le critiche nei confronti della società automatizzata emergevano ancora flebili nel sottosuolo artistico. C’erano si, ma non possedevano il fascino che Svankmajer ha impresso nei suoi lavori. E se di fascino parliamo, quello legato all’universo svankmajeriano è dell’orrido, del grottesco e dello straniamento. Nell’opera Food, triade di cortometraggi dedicati ai tre principali pasti della giornata, nominati appunto “colazione” , “pranzo” e “cena”, gli articoli gastronomici si fanno punti di crisi, oggetti che si rivelano soggetti, nuclei che sanno far roteare alcuni spaventosi tratti dell’umano e i contesti in cui esso è inserito.

Colazione

Il primo episodio mette in scena una stanza con un tavolo e due sedie. Un uomo entra e trova qualcuno già seduto dall’altra parte, immobile, come spento, con un cartello appeso al collo su cui sono riportate istruzioni di funzionamento. La frammentazione dell’operato di Svankmajer ottenuta con la stop motion è alienante quanto originale poiché utilizzata non solo per animare l’inanimato, ma per mettere in moto anche coloro che dovrebbero stare in piedi e muoversi da soli. c6cdb2993f37d393d723d55f17c85e65 short films motion graphicsI soggetti scarnificati del regista ceco si fanno automi al servizio del suo messaggio critico nei confronti della società. Dunque l’uomo appena giunto tira fuori la lingua dell’altro immobile, posiziona su di essa una manciata di monete e gli preme l’occhio, come fosse un distributore automatico a tutti gli effetti. Qualche secondo dopo l’automa umano espelle dal petto un vassoio con la colazione. Un calcio ad una gamba ed un pugno sul mento forniranno all’affamato posate e fazzoletto. Consumato il pasto si assiste ad uno scambio, una metamorfosi che lascia lo spettatore in preda al perturbante. L’uomo macchina si solleva, perde la sua caratteristica “automica” e dona il suo cartello con istruzioni all’altro, ormai immobile, cedendogli il ruolo di distributore automatico umano per poi andare via libero, o quasi. Quasi perché l’umanità in Svankmajer suona sempre in un coro all’unisono, un tutt’uno inseparabile che per propria essenza ciclicamente si riconcede alle stesse pratiche e usanze. Alcuni secondi dopo infatti un nuovo soggetto si fa avanti, ripetendo gli stessi processi per poi ritrovarsi, alla fine del suo pasto, immobile e invischiato nel suo ruolo di macchinario inerme, fino all’arrivo del prossimo affamato e malcapitato. Chiaro è che l’essenza dell’automa nella stanza è onnipresente, essendo già da sempre sia nell’uomo immobile che in colui che “acquista” il suo pasto. Potenziale che costantemente si traduce in atto, senza distinzione, senza via di svincolo. Svankmajer esaurisce il potere del perturbante più grottesco creando uomini che non sono uomini e macchine che non sono macchine. Tutti sono ormai tutto, soggetti che perdono i propri connotati nell’impossibilità di una vera e propria decisione-pasto, entrando in un circolo vizioso più vicino ad un’ adesione-pasto inconsapevole e dovuta. In tutto ciò gli alimenti sfornati da pancia e petto di questi personaggi sono strumenti di transito, dei crocevia culinari che impongono l’obbligazione del circolo, l’adesione ad una ciclicità sociale che spegne la diversità per favorire i tempi del lavoro e della produzione.

Pranzo

Il secondo episodio dedicato al pranzo impegna due uomini ad un tavolo, in attesa di ordinare e decisamente molto affamati. Il problema messo in luce dal secondo segmento è l’incomunicabilità. Sarà impossibile per i due commensali riuscire a fermare il cameriere che continua a transitare di fianco al loro tavolo senza mai fermarsi da loro. L’assenza di parola cede il posto ad un sovraccarico di presenza, quello dell’istinto famelico. Filosofica e geniale la riflessione dell’autore praghese che sa tenere ben distinta la componente umanizzante, ossia la parola, contrapposta alla sua assenza, dove il silenzio si fa vessillo di animalità. L’animalità viene fuori quando in preda alla fame in senso assoluto, i due soggetti cominciano a mangiare le proprie scarpe, i vestiti, il piatto con le posate e il tavolo. Completamente messi a nudo dal loro istinto distruttore non resterà loro altro da fare che tentare di addentare l’unico elemento ancora presente nella stanza, ossia l’altro che è di fronte, ormai solo oggetto, ormai solo pasto.

Cena

Jan-Svankmajer-regista

L’episodio “cena” ricarica la dose e comincia dove l’episodio “pranzo” era terminato; dal cannibalismo. Analizzati singolarmente uno dopo l’altro, diversi commensali si apprestano a consumare la propria cena che consiste in arti o parti genitali umane. Numerosi sono i condimenti, contorni e spezie utilizzati con l’accento posto sulla cura con cui ognuno prepara il proprio “pezzo”. La messa a fuoco di Svankmajer in questo ultimo episodio è l’in-distinzione di classe. L’atrocità cannibalesca è commessa da diverse sagome prese da differenti contesti sociali. Il primo è evidentemente strappato da un contesto altolocato, poi vi è la classe media e proletariato. Non c’è distinzione in questa grottesca ambientazione tra il ricco e il povero, tra l’affamato e il sacerdote del vizio culinario.

Meat love

Ma l’uso del cibo nell’operato dell’artista non si conclude qui. Nel brevissimo cortometraggio intitolato Meat Love, due fette di succosa e tenera carne rossa prendono vita, si sollevano e perfino ballano sul tavolo da cucina a tempo di musica. Poi si trascinano a vicenda in un moto amoroso all’interno di un piatto infarinato, cominciando a copulare mentre si impanano sul letto di polvere bianca, prima d’essere prelevati dalla stessa mano che le ha create, colei che prima impugnava il coltello, che ora preleva le malcapitate fettine viventi e le frigge. Risuona come un grillo il motto di Feuerbach : Sei ciò che mangi. Una vera e propria messa in crisi della razionalità per cui, dando fede allo strambo mondo di Svankmajer, non sono le due fette di carne ad assimilarsi passivamente come nutrienti. Al contrario sarebbe l’uomo a “carnificarsi”, ereditando il ciclo vitale di un trancio di carne che nasce dal taglio, gode impanandosi e muore fritto. Quando addenterete il prossimo boccone di cotoletta, pensate a Svankmajer.

Luca Cardone

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

GIPHY App Key not set. Please check settings

ricette autunnali: polpo abbrustolito con purè di patate americane e gel di arancia

Ricette autunnali: polpo abbrustolito con patate americane e gel di arancia

arte contemporanea

In nome dell’Uomo. L’arte contemporanea dice no alla violenza