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“Conversazioni dopo un funerale” e la strategia del porro. Storia di 3 fratelli

Una pièce teatrale di Yasmina Reza, in cui si rappresenta un “combattimento familiare” che sembra destinato a sfociare in tragedia. In realtà le ferite, le opinioni diverse, le recriminazioni di una vita si stemperano in un’amara accettazione dell’esistenza. Tutto bolle lentamente come quando si cucina un bollito!

Nel giorno del funerale del padre tre fratelli – Alex, Nathan, Edith – si ritrovano nella tenuta di famiglia con lo zio, la nuova moglie e Elisa, una donna, che è stata la compagna di Alex e, per un giorno, l’amante di Nathan Il testo teatrale di Yasmina Reza “Conversazioni dopo un funerale” si sofferma ad indagare sui rapporti familiari, in particolare sulla relazione tra i fratelli. Alex e Nathan sono l’uno l’opposto dell’altro. Se il primo è un uomo tormentato, il secondo è il saggio, il più amato dalla famiglia.

Il testo ricorda il modo di narrare e lo stile di Jorge Luis Borges. Uno stile molto personale, essenziale e sintetico ma fortemente evocativo. La tensione tra i due fratelli scoppia a causa della presenza di Elisa, amata e persa da entrambi. Nathan e Alex rivelano di avere dei caratteri inconciliabili. Si detestano ma allo stesso tempo non possono fare a meno l’uno dell’altro.

Elisa ama Nathan, ma questi, per rispetto del fratello, pur amandola, la respinge. La sua presenza nella dimora della famiglia sembra preludere ad un duro scontro. Ma tutto sfuma nell’accettazione dei propri sentimenti.

“Conversazioni dopo un funerale” e la strategia del porro

“Conversazioni dopo un funerale” dimostra come sia spesso labile il confine tra il ridicolo e il tragico. Spesso le situazioni sfumano, perdono i contorni perché rallentiamo i tempi, distogliamo l’attenzione dalle tematiche che ci spaventano. Per indicare il trucco utilizzato dalla scrittrice per evitare la tragedia, il critico francese Denis Guénoun parla di “strategia del porro”. Yasmina Reza inserisce inaspettatamente elementi banali, ininfluenti o surreali. Accade, ad esempio, quando Nathan arriva con le verdure per preparare un bollito, e tutti, preferendo un’azione semplice capace di distogliere da conversazioni pericolose, sbucciano porri, pomodori e carote, pur di non manifestare i propri risentimenti.

La strategia del porro funziona, i rancori tornano a sopirsi e, alla fine del libro, impera una sola domanda, priva di risposta e banale: il padre ha avuto o no una relazione con la donna che gli faceva la pedicure?

Il coraggio di Yasmina Reza

Il coraggio di Yasmina Reza sta tutto nella scelta del tema da trattare: la morte. E con essa i ricordi, i dolori di una vita che si voleva diversa, l’incapacità di condividere i sentimenti. Tutto si scontra con la banalità del vivere rappresentato nel testo dal pelare le verdure. La vita sembra essere quel bollito che ha bisogno di molto tempo per cuocere e la cui ricetta è sempre molto personale. Esiste una ricetta codificata che indica quali e quante verdure servono? Lo sa solo chi lo cucina.

La gioventù con i suoi desideri, le sue utopie si perde nello scorrere del tempo, nelle banalità, nelle mancanze di coraggio, nell’arida realtà. La vita finisce con la vecchiaia che ci insegna ad accontentarci di ciò che abbiamo saputo conservare. “Avevo questo genere di idee folgoranti a vent’anni”, dice Alex, “ma al posto di tutto questo ho avuto lo scenario quotidiano, la piccola ferita al centro del mondo, la sequela interminabile dei desideri, dei passi, dei gesti inutili. Il labirinto dei sentieri inutili…”.

Il chiacchiericcio di “Conversazioni dopo un funerale” nasconde quelle verità inesprimibili per non denunciare al mondo il proprio fallimento. Le guerre più crudeli sembrano improvvise, ma in realtà covano a lungo prima di scoppiare. Il più delle volte nascono dalla nostra incapacità di relazionarci con gli altri. Una comunicazione impossibile, dal momento che non sappiamo guardare in noi stessi.

Perchè in “Conversazioni dopo un funerale” manca il senso della tragedia

La tragedia, come ben sosteneva Nietzsche, non è un genere letterario, ma l’essenza della Grecità.Scomparsa la civiltà greca, non poteva sopravviverle. Morti gli dei greci, sostituiti da Cristo, la tragedia scompare.

Pan, mezzo caprone e mezzo uomo, era la divinità dei pastori che con il loro canto testimoniavano la consapevolezza di condividere il destino degli animali – nascere, crescere, generare, morire – ma di avere in più la tragica consapevolezza di cercare un senso alla vita. La vita, come la morte, sembra non avere senso.

La tragedia dichiara a gran voce l’insensatezza della vita umana. La vita non ha alcun senso. La promessa cristiana di poter conquistare, dopo la morte, una seconda vita, cancella la tragicità greca. La coscienza tragica coglie il conflitto che esiste tra la vita della natura e la possibilità di costruire una società umana. Il grande desiderio dell’uomo è l’immortalità.

Talvolta meglio non pensare alla morte e anche di fronte ad essa, rappresentata da un funerale, meglio pelare patate!

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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