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“Umami”, il quinto gusto. Come si usa in cucina

“Umami” è il quinto gusto: ci vuole comunicare molto di più di quello che sappiamo.

Per gli orientali c’è il terzo occhio che indica la vista più profonda (quella dell’anima) e nell’alimentazione c’è anche “unami”, ovvero il quinto gusto. Per riepilogare: dolce, salato, amaro, aspro, unami. Questo quinto gusto – non possiamo giurare che non ce ne siano o non ne verranno individuati altri – è in realtà antichissimo. Eppure è stato classificato solo recentemente. Individuato nel 1908 dal chimico Kikunae Ikeda, è stato riconosciuto come “gusto base” autonomo solo nel 1985. Tendiamo a identificare il gusto “unami” con l’Oriente (non possiamo scordarci che il Giappone ha coniato il termine “unami”, traducibile pressappoco come “saporito”). Invece, la realtà contemporanea dice altro.

Sulle tracce dell’umami, lungo nuove rotte del gusto

Ora facciamo un breve viaggio sulle tracce dell’umami, lungo le nuove rotte del gusto, sempre in movimento. Molti cibi orientali sono la giusta base di partenza per il nostro excursus: alghe kombu, funghi shiitake, salsa di soia, il katsuobushi, la salsa tailandese Nam Pla e il cavolo fermentato coreano. Solcando gli oceani approdiamo in cibi più vicini alla nostra cultura. Ecco qualche esempio. In Danimarca, nell’isola di Rømø, prosperano molluschi dal vago retrogusto di nocciola e ricchi di umami (sono addirittura protagonisti di un festival a ottobre). Allo stesso modo, in Bretagna, Normandia e nella baia irlandese di Galway, troviamo ostriche sapide che sono entrate di buon grado nella grande famiglia “unami”, come pure, le ostriche di Cancale, in Bretagna.

La cucina italiana? Tanti esempi

La cucina italiana è la riprova che è errato identificare il quinto gusto solo con l’Oriente. La lista è lunga: i tartufi delle langhe, il Parmigiano Reggiano, quello classico e il Trentingrana di alpeggio, l’estratto di lievito, l’aglio nero e i funghi porcini secchi. E ancora il saporitissimo prosciutto crudo, le acciughe, le olive nere e i pomodori nella variante secca.

Che cosa significa esattamente “unami”

Siamo abituati, attraverso le nostre papille gustative, a riconoscere 4 gusti: dolce, salato, amaro e aspro. Come abbiamo appena scritto, invece, esiste un quinto gusto ormai riconosciuto ufficialmente. Tutto questo non toglie, nella nostra epoca piena di sorprese continue, di conoscenze sempre più approfondite, di confini che si spostano in un batter d’occhio, che ci possa essere l’ipotesi di altri gusti non ancora percorsi e studiati.

Stiamo agili sulle gambe, questo caotico futuro che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi tre anni è pieno di sorprese. E, soprattutto, proprio perché la cultura orientale vive di sfumature, non cerchiamo di risolvere il dilemma di questo tema in modo sbrigativo e superficiale: nulla è perfettamente certo nella cultura dell’Oriente, i cui confini sono sempre sfumati, pieni di variabili. Insomma rispettiamo le differenze dell’impianto cognitivo d’Oriente e caliamoci in esso per meglio comprendere.

Per far questo tentiamo un ulteriore approfondimento e partiamo dall’enciclopedia Treccani che definisce così il termine: “in fisiologia della nutrizione, si dice della particolare sensazione gustativa («gradevolezza al palato») indotta dal glutammato monosodico, o monosodioglutammato (MSG), impiegato dall’industria alimentare come insaporente o esaltatore dei sapori, soprattutto nella preparazione dei dadi da brodo e prodotti similari. Il termine è entrato a far parte, già dagli anni 1990, del lessico proprio della fisiologia della nutrizione: questo sapore è stato affiancato ai quattro sapori fondamentali (dolce, amaro, acido, salato)”.

Ahimè, se pensiamo a unami come al sapore indotto dal glutammato capite voi che siamo fuori strada, ma parecchio! Anche la descrizione presente in Wikipedia non ci sembra che aiuti un’ulteriore comprensione: “Umami lett. “saporito” o “sapido” è uno dei cinque gusti fondamentali percepiti dalle cellule recettrici specializzate presenti nel cavo orale umano. È stato descritto come “gradevole al palato” ed è caratteristico dei brodi e degli arrosti”.

Recuperiamo altre fonti, altrettanto parziali ma che forse, proprio nella loro diversità, ci fanno comprendere come il termine stesso sia molto “sfuggente”. Una per esempio, cita che proprio l’umami è il responsabile del nostro gradimento di un cibo. Per questo cibi che hanno questo sapore sono spesso preferiti dai bambini. Ma il mistero si fa ancora più fitto quando si evidenzia come esistano persone insensibili all’umami, ossia persone che non sono in grado di riconoscerne il gusto.

È evidente come il senso profondo del termine sia maltrattato in Occidente, ove per la maggior parte delle volte viene codificato e confuso con “salato“. Ancora più deleteria è stata la confusione riguardante il glutammato, ovvero la sostanza chimica che è vissuta negativamente come “additivo artificiale”. Se volete approfondire, questo articolo di Carlo Trono, ci sembra possa aiutare nella comprensione.

Ripartendo dall’etimologia della parola in giapponese, è chiaro che il concetto di “saporito” ha una variabile elevata di declinazioni e questo ci deve bastare per proseguire nella conoscenza.

Per concludere, una nota sugli abbinamenti, sull’onda dell’ultra noto gemellaggio champagne/ostriche: lo champagne – e non solo con le ostriche – collabora all’“umami sinergico” che potenzia l’intensità dell’abbinamento cibo e vino.

 

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