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Roma in versi: alle poesie non servono introduzioni…

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Tre poesie su Roma, la città eterna descritta in versiCerte volte le parole sembrano da subito superflue, inutili, non servono. Quando c’è da introdurre una poesia o una canzone, che serve aggiungere: la vita moderna vive “nel togliere”. Ecco allora la capitale della dolce vita nei versi poetici di Giosuè Carducci (1835 – 1907), Pier Paolo Pasolini (1922 – 1975) e di Ciro Giordano (la poesia è pubblicata sul portale poesieracconti.it e datata 2013). Sono solo tre poesie su Roma, molto diverse tra loro, tra le tantissime….

“Roma”, poesia di Giosuè Carducci

Roma, ne l’aer tuo lancio l’anima altera volante:

accogli, o Roma, e avvolgi l’anima mia di luce.

Non curïoso a te de le cose piccole io vengo:

chi le farfalle cerca sotto l’arco di Tito?

Che importa a me se l’irto spettral vinattier di Stradella

mesce in Montecitorio celie allobroghe e ambagi?

E se il lungi operoso tessitor di Biella s’impiglia,

ragno attirante in vano, dentro le reti sue?

Cingimi, o Roma, d’azzurro, di sole m’illumina, o Roma:

raggia divino il sole pe’ larghi azzurri tuoi.

Ei benedice al fosco Vaticano, al bel Quirinale,

al vecchio Capitolio santo fra le ruine;

e tu da i sette colli protendi, o Roma, le braccia

a l’amor che diffuso splende per l’aure chete.

Oh talamo grande, solitudini de la Campagna!

e tu Soratte grigio, testimone in eterno!

Monti d’Alba, cantate sorridenti l’epitalamio;

Tuscolo verde, canta; canta, irrigua Tivoli;

mentr’io da ‘l Gianicolo ammiro l’imagin de l’urbe,

nave immensa lanciata vèr’ l’impero del mondo.

O nave che attingi con la poppa l’alto infinito,

varca a’ misterïosi liti l’anima mia.

Ne’ crepuscoli a sera di gemmeo candore fulgenti

tranquillamente lunghi su la Flaminia via,

l’ora suprema calando con tacita ala mi sfiori

la fronte, e ignoto io passi ne la serena pace;

passi a i concilii de l’ombre, rivegga li spiriti magni

de i padri conversanti lungh’esso il fiume sacro.

 

“Serata romana”, poesia di Pier Paolo Pasolini

Dove vai per le strade di Roma,

sui filobus o tram in cui la gente,

ritorna? In fretta, ossesso, come,

ti aspettasse il lavoro paziente,

da cui a quest’ora gli altri rincasano?

E’ il primo dopocena, quando il vento,

sa di calde miserie familiari,

perse nelle mille cucine, nelle,

lunghe strade illuminate,

su cui più chiare spiano le stelle.

Nel quartiere borghese, c’è la pace,

di cui ognuno dentro si contenta,

anche vilmente, e di cui vorrebbe,

piena ogni sera della sua esistenza.

Ah , essere diverso – in un mondo che pure,

è in colpa – significa non essere innocente…

Va, scendi, lungo le svolte oscure,

del viale che porta a Trastevere:

ecco, ferma e sconvolta, come,

dissepolta da un fango di altri evi,

a farsi godere da chi può strappare,

un giorno ancora alla morte e al dolore,

ha ai tuoi piedi Roma…

Scendo, attraverso Ponte Garibaldi,

seguo la spalletta con le nocche,

contro l’orlo rosicchiato della pietra,

dura nel tepore che la notte,

teneramente fiata, sulla volta,

dei caldi platani. Lastre d’una smorta,

sequenza, sull’altra sponda, empiono,

il cielo di lavato, plumbei, piatti,

gli attici dei caseggiati giallastri.

E io guardo, camminando per i lastrici,

slabbrati, d’osso, o meglio odoro,

prosaico ed ebreo – punteggiato d’astri,

invecchiati e di finestre sonore

il grande rione familiare:

la buia estate lo indora,

umida, tra le sporche zaffate,

che il vento piovendo dai laziali,

prati spande su rotaie e facciate.

E come odora, nel caldo, così pieno,

da esser esso stesso spazio,

il muraglione, qui sotto:

da ponte Sublicio fino sul Gianicolo,

il fetore si mescola all’ebbrezza,

della vita che non è vita.

Impuri segni che di qui sono passati,

vecchi ubriachi di Ponte, antiche,

prostitute, frotte di sbandata,

ragazzaglia: impure traccie,

umane che, umanamente infette,

son lì a dire, violente e quiete,

questi uomini, i loro bassi diletti

innocenti, le loro misere mete.

“Roma d’estate”, poesia di Ciro Giordano

Sonnolenta

così ti amo

le strade quasi deserte

sembrano oasi, le piazze

con le vecchie panchine

le aiole incolte, con i cani

gli sporadici fiori.

Sembran giganti buoni

quei palazzi vecchi

di un epoca lontana

i cortili interni

come piazze di un paese

c’è spazio ovunque, così

anche nel tuo cuore.

Una vecchia fontana

acqua buona

che sembra un nettare, d’estate

trasudan silenzio

quelle palazzine liberty

coi piccoli giardini

pieni di rose.

Così ti amo

vecchia Roma

saggia, senza averne l’aria

quasi immobile, levigata

come se aspettassi sempre qualcosa

che mai ti sconvolgerà.

 

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