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Tornano a vivere le buchette a Firenze: gelato, vino e dolci

Nel solco di cibo e cultura vi raccontiamo la storia delle buchette che il Coronavirus ha riportato in auge a Firenze. Se in origine servivano come mescita di vino, oggi permettono di gustare gelati, dolci e tante sfiziosità in sicurezza.

Buchette, finestrini, tabernacoli, sportelli, nicchie, porte del paradiso e probabilmente altri mille termini per indicare quelle aperture, in genere a forma d’arco, presenti nei muri di alcuni palazzi fiorentini. Se ne torna a parlare oggi grazie alla gelateria Vivoli, che a maggio, durante il lockdown, nel centro di Firenze ha aperto la sua buchetta per servire gelati, bibite e caffè. Il successo è stato talmente grande che lo hanno seguito altri locali, tra cui per esempio Babae in via Santo Spirito, Osteria delle Brache in piazza Peruzzi, Il Latini in via dei Palchetti.

Che cosa sono le buchette e quante ne sono state censite

Risalgono al 1532, quando venivano usate nel territorio fiorentino per la vendita del vino  prodotto in eccedenza dai nobili. In città erano usate nelle giornate festive per  fronteggiare il minor numero di commessi a disposizione. Ma per assistere all’utilizzo che abbiamo conosciuto durante il Coronavirus, dobbiamo risalire al 1630, all’epoca di quella peste descritta magistralmente dal Manzoni ne I Promessi Sposi. Come racconta nella Relazione del Contagio stato in Firenze Francesco Rondinelli, studioso e accademico fiorentino, durante l’anno 1630 e 1633 gli sportelli, a Firenze e lungo la strada che portava alla città, erano utilizzati come punti vendita di  prodotti agricoli e vino nel tentativo di non diffondere la pandemia. Il pagamento non avveniva con scambio di mani ma con una paletta metallica. Il denaro era poi versato nell’aceto per disinfettarlo. L’acquirente spesso portava il proprio fiasco di vino, che i vinai riempivano con un tubo di metallo alimentato da un recipiente posto all’interno. Le buchette hanno continuato a funzionare per la mescita del vino fino agli anni 50.

Oggi ci sarebbero ancora 170 buchette, di cui 145 nel centro storico. Alcune di esse riportano incisi degli orari, il che ci fa presumere che non fossero sempre aperte. Solo le donne incinte o che avevano appena partorito e gli uomini che erano in procinto di partire per la guerra potevano bussare di notte. Una misura per evitare la movida? Ma le buchette del vino servivano a fare anche del bene. Dopo l’orario di chiusura, infatti, qui venivano messi alimenti per i più poveri che, in modo totalmente anonimo, potevano aprire la buchetta e servirsi da soli.

Le buchette del vino solo a Firenze?

Sembra di no, qualcosa di simile si è trovato nelle Langhe, a Bologna,  in Sicilia e persino in Francia. Certo le forme, i colori cambiano. Le porte del paradiso fiorentine sono poi sempre incassate nel cemento, altrove è più facile trovarle nei portoni di legno.

Chi ne difende la tradizione

L’associazione culturale Buchette del vino, nata nel 2016, salvaguarda e censisce questa testimonianza del passato, danneggiata dall’alluvione del 1966.

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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