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La crisi della ristorazione: perchè i giovani rifiutano il lavoro

Torna Tavola Spigolosa proponendo una approfondita discussione sui temi enogastrtonomici più scottanti. Il primo appuntamento ha analizzato il fenomeno della fuga dalle cucine e dalle sale dei ristoranti. Come siamo arrivati a questa siuazione? Perchè i giovani rifiutano il lavoro?

Perché  il lavoro al ristorante ha perso gran parte della sua immagine scintillante? Tavola Spigolosa ha analizzato il fenomeno della fuga dalle cucine e dalle sale dei ristoranti.

Dopo il Festival di Gastronomika, tornano gli appuntamenti di Tavola Spigolosa organizati per “cucinare”, preparando accuratamente gli “ingredienti”, i temi più scottanti del mondo dell’enogastronomia. Il 15 febbraio presso il Centro Brera a Milano si è svolto il primo incontro ed il tema scelto per inaugurare la nuova stagione è uno di quelli che vanno affrontati e risolti velocemente per assicurare un futuro al mondo della ristorazione. I vecchi canoni non valgono più, vanno riformulati. Lo dimostra la fuga dei giovani dalle cucine e dalle sale dei ristoranti. Come siamo arrivati a questa situazione e come possiamo uscirne?

Fornelli in fuga: perché non si trovano cuochi e camerieri

È importante il lavoro, ma occorre anche prendersi cura di se stessi e del tempo libero.

Per Lidia Baratta, giornalista, responsabile Economia e Lavoro de Linkiesta, descrivere un’intera generazione con l’appellativo di fannulloni è una scorciatoia che non aiuta ad inquadrare in modo corretto il problema. Siamo sicuri che i giovani abbiano scelto di rimanere tutta una vita sdraiati sul divano? A farci sorgere il dubbio di essere stati superficiali nella risposta è stata la roboante notizia della chiusura del Noma. Con onestà René Redzepi ha dichiarato: “Economicamente ed emotivamente, come datore di lavoro e come essere umano, sono diventato consapevole che il sistema della ristorazione attuale semplicemente non funziona”. Come sottolinea Lidia Baratta nel suo intervento: “in realtà molti giovani hanno abbandonato la professione di chef o di cameriere per abbracciarne altre, come quelle del magazziniere o del cassiere nei supermercati. Perchè lo hanno fatto? Per avere un contratto che garantisca una proposta economica adeguata al costo della vita e una flessibilità oraria accettabile. E ciò avviene soprattutto in regioni, come la Lombardia e l’Emilia Romagna, capaci di offrire delle alternative ad un lavoro che non conosce regole. Il Covid ha fatto comprendere a molte persone che la vita è fatta anche di tempo libero, di cura di se stessi”.

Come può rispondere il mondo della ristorazione alla richiesta di aumenti salariali e di flessibilità oraria? Il costo del lavoro, l’aumento delle materie prime e dei costi energetici sembrano rendere ancora più difficile la ricerca di una risposta.

I giovani, la nuova riserva indiana?

Basta stage senza fine, basta orari disumani, basta impossibilità di avanzamenti di carriera: il futuro si basa sul riconoscimento dei diritti dei lavoratori.

Un aspetto spesso sottovalutato nelle tante analisi è la bassa natalità. Come sottolinea Francesco Seghezzi, presidente Fondazione Adapt: “Tra qualche decennio i giovani saranno merce rara. E quanti saranno disposti a coltivare una passione a fronte di una cattiva retribuzione, di una vita fatta di stage interminabili, senza nessuna prospettiva di crescita professionale? Oggi nessuno crede più al mito dello chef promosso da tanti reality. Le iscrizioni alle scuole alberghiere registrano già un sensibile calo. Il problema da risolvere è ridare dignità alla figura di un lavoratore che molte volte è sfruttato.” Va completamento rivisto il modo di fare impresa. Bisogna superare il modello anni 50 che prevedeva che intere famiglie fossero impegnate nella gestione del ristorante. Il ristorante deve trasformarsi in impresa e regolare i rapporti con i lavoratori con forme contrattuali trasparenti. Lo sforzo non deve essere solo del ristoratore, ma anche del cliente. L’eticità si paga nel conto!!! E nell’accettare che il ristorante per dare il servizio migliore possa non essere aperto 7 giorni su 7.

Ripartiamo dalla sostenibilità umana

Valeria Raimondi, Direttore Editoriale Fine Dining Lovers e S.Pellegrino Young Chef, ha illustrato un’ interessante ricerca sui lavoratori della sala. I dati emersi dalla ricerca che ha coinvolto diverse nazioni “parlano chiaro” – racconta Valeria Raimomdi – i lavoratori della sala chiedono un maggiore rispetto della flessibilità oraria in modo da poter conciliare lavoro e vita privata. Soprattutto in Italia. Il lavoro sarebbe più appetibile se ci fosse un miglioramento delle condizioni economiche, degli orari e un’attenzione nei riguardi della formazione“. Dai risultati della ricerca emerge una maggiore consapevolezza di come deve essere il lavoro e il rispetto dei diritti dei lavoratori.

Cercare soluzioni per rispettare i diritti dei lavoratori

Il pericolo della passione è che questa si esaurisca presto, meglio puntare sulla dedizione

Per Matteo Aloe, Co-founder e chef di Berberé: “il rifiuto del lavoro nella ristorazione da parte di un’intera generazoione è una forma di protesta. Una volta si scendeva nelle piazze, oggi ci si oppone con un rifiuto. Ed è giusto che sia così. Barbaré è nato nel 2010, oggi conta 17 pizzerie e 300 lavoratori che provengono da diverse nazioni Noi abbiamo scelto di giocare in modo corretto, non tutti lo hanno fatto. Certo fare quadrare i conti non è facile, ma occorre riconoscere i diritti dei lavoratori: uno stipendio adeguato ai costi della vita, orari flessibili e possibilità di carriera. Perchè, ad esempio, non cercare di risolvere il problema del No Show? Una prenotazione non rispettata per molte attività è un mancato incasso“.

Fare condividere il sogno ai lavoratori

Occorre che i giovani entrino nel nostro sogno imprenditoriale e perchè sia possibile occorre pagarli e responsabilizzarli.

Per Giacomo Perletti, founder di Contrada Bricconi: “Il mio sogno imprenditoriale è il recupero di un borgo di montagna. Il ristorante agrituristico ha solo otto mesi di vita e uno dei problemi che con lo chef Michele Lazzarini ho dovuto affrontare è stato il rapporto con il personale. Ho capito che per avere persone motivate dovevo farle partecipare al mio sogno. E perchè ciò accadesse ho aumentato gli stipendi, ho chiuso per due giorni, ho eliminato un tavolo. Ho chiesto per mantenere la sostenibilità economica di condividere i costi con il cliente. Ho dovuto aumentare lo scontrino in nome dell’idea della Bellezza. La nostra fortuna è di non dover costruire un’identità, ma solo di mostrarla nel suo splendore, preservendola per chi verrà dopo di noi”.

Le conclusioni di Anna Prandoni

Anna Prandoni, responsabile di Gastronomika, il magazine del cibo del quotidiano Linkiesta, dopo aver sottolineato l’importanza di raccontare anche le storie di chi propone modelli che si interrogano sul futuro, cercando risposte positive, ricorda come sia importante che “l’imprenditore abbia sempre presente quale impresa vuole costruire e chi siano le persone chiamate a costruire un percorso di successo“.

​Per ascoltare l’intero dibattito: https://www.linkiesta.it/…/tavola-spigolosa-streaming…/

 

 

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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