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Agroecologia, il futuro in nome della terra, di cibo e cultura

Il termine sostenibilità rischia di essere una parola svuotata di significato per trasformarsi in uno slogan. E poi è davvero più sano mangiare prodotti biologici? Forse l’agroecologia…

L’agroecologia è un insieme di pratiche agricole, una disciplina scientifica, un movimento sociale o tutto in una volta? 

Agroecologia, termine nato più di 80 anni fa, è una parola sempre più utilizzata tanto che non manca chi azzarda che diventerà il nuovo tormentone del prossimo decennio. Alcuni la usano come un’arma, altri come valore aggiunto per la loro azienda, altri ancora per sostenere la necessità di un cambiamento radicale. Ma che cosa significa esattamente agroecologia? Sarà una disciplina capace di farci vincere le sfide del futuro? É un passo avanti rispetto all’agricoltura industriale? Riuscirà a conquistare il consumatore? E, soprattutto, non rischia, come la parola sostenibilità, di perdere nel tempo il suo reale significato?

Che cos’è l’agroecologia? Semplicemente connessione

Se l’ecologia è strettamente legata al pianeta, l’agroecologia è legata al territorio. Rappresenta un’opportunità unica per tornare alle origini e riconnettersi alla terra rispettando il ciclo di vita determinato dalla natura e non dalle leggi economiche della domanda e dell’offerta. Significa scommette sulle colture associate a patto che rispettino la prossimità, sui progetti per favorire l’impollinazione, sulle tecniche per migliorare la protezione del suolo. In poche parole si ricerca la connessione tra terra, clima, gastronomia, salute, cibo e cultura. L’attenzione inizia dal momento in cui si semina per spingersi fino alla cura delle informazioni che orientano le scelte del consumatore. L’agroecologia va ben oltre al fatto che un ortaggio sia biologico o meno. É quasi una filosofia di vita.

Il fallimento delle monocolture e la necessità del cambiamento di rotta

Il primo a parlarne nel 1930, in uno studio sul mais intitolato “Studi agroecologici della pianta di mais”, fu lo scienziato russo Basil M. Bensin. Ma solo negli anni Sessanta e Settanta ci fu il vero boom dell’applicazione dell’ecologia in agricoltura. Occorreva trovare un’alternativa al fallimento della Rivoluzione Verde. Una rivoluzioneche si è dimostrata fallimentare a causa dell’ imposizione ovunque della coltivazione di riso, grano e mais. Si voleva nutrire il mondo, ma si è impoverito il Pianeta. Si sono utilizzati pesticidi e fertilizzanti per fare crescere le monocolture, contaminando le acque sotterranee e abbattendo alberi. Con quale risultato? I cambiamenti climatici e la diminuzione delle proprietà nutritive degli alimenti.

L’agroecologia è stata così proposta come un modo per proteggere le risorse naturali, adottando linee guida per la progettazione e la gestione di agroecosistemi sostenibili. Con essa si ricerca: produttività, sostenibilità ed equità. Per impedire il disastro si cerca di migliorare la produzione e di evitare impatti negativi sull’ambiente, imitando i comportamenti della natura. Così, ad esempio, per mettere al bando l’uso dei fertilizzanti, l’agricoltore si impegna a piantare alberi per estrarre azoto in modo naturale. Quando le foglie cadono a terra ottengono lo stesso effetto fertilizzante dei prodotti chimici, ma senza introdurre sostanze costose e dannose.

Le difficoltà dell’agroecologia

Non è facile rispondere ai dettami dell’agroecologia. Il primo passo è culturale in quanto occorre prevedere un cambiamento delle intenzione di acquisto dei consumatori. Perché in Italia, ad esempio, si dovrebbe mangiare tutti i giorni l’avocado? Un tempo, si consumava quasi esclusivamente ciò che offriva il territorio in cui si viveva, oggi la globalizzazione ha fatto dimenticare le origini di ciò che mettiamo nel piatto. Non sarebbe meglio recuperare vecchie varietà presenti nella nostra ricca tradizione regionale?

Un grande nemico dell’agroecologia è poi tutto il comparto delle aziende agrochimiche che producono fertilizzanti e pesticidi chimici. Anche le aziende sementiere non vedono ovviamente di buon occhio un cambiamento nelle metodologie di coltivazione.

La biodiversità è sinonimo di biodiversità culinaria

Non tutto dipende dagli agricoltori, molto è nelle mani del consumatore e del suo coinvolgimento nell’atto di acquistare cibo. L’agroecologia è in realtà un nuovo modello di business che vuole dare valore etico al lavoro dell’ agricoltore, avvicinandolo al consumatore. Prevede che si spieghi come si coltiva la terra, come si producono prodotti di qualità, per creare un legame anche emotivo tra produttori e consumatori. É una vera rivoluzione!

Il futuro è vicino?

Nonostante il successo di molti mercati contadini e il boom della ruralità negli ambienti urbani, grande parte dei consumatori sembra essere poco interessato a conoscere la filiera del cibo. Eppure un Pianeta B non esiste! Sembriamo ignorare che la compilazione della lista della spesa è un atto politico, individuale e collettivo.

Come mettere al centro del dibattito e dell’agenda politica un tema così importante? Secondo noi, dando la parola a quei contadini che, radicati nel loro territorio e difensori della loro identità, possono farci capire l’importanza dell’alimentazione. Occorre coinvolgere tutti i cittadini nella riflessione su temi caldi, come il presente e il futuro del mondo rurale, il ruolo dei sistemi agroalimentari di fronte ai cambiamenti ambientali globali, la difesa della salute del Pianeta e della sovranità alimentare.

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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