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Francesco Morace: e se la crescita felice passasse attraverso il cibo?

É ancora tempo per credere alla crescita felice? In un’epoca in cui tutti sognano di ritrovarsi in un’oasi di pace, come perduto lusso in un’epoca che ti costringe a una vita frenetica, satura di un bombardamento di immagini, rumori, stimoli esterni, in cui è un dovere essere iper-connessi, la domanda è d’obbligo. Francesco Morace, sociologo e saggista, da sempre ci invita a non dichiararci sconfitti: si può ancora immaginare il futuro e credere nella “crescita felice”. La rivoluzione forse è un’utopia, ma se non ci si crede, si accetta di sopravvivere. Il marxismo è stato sconfitto, il capitalismo non sa rispondere al desiderio umano di felicità, che fare? Ripartire dalle relazioni umane. E che cosa meglio del cibo può rappresentare la socialità? Un incontro digitale che deve trasformarsi in realtà. Un invito a incontrarsi, a discutere, ad amarsi. Ma lasciamo la parola a Francesco.

Oggi si parla molto di cibo. E’ diventato sinonimo di condivisione, di desiderio o di stimolo per immaginare “altri mondi possibili”?

“Il grande ritorno all’alimentazione, è soprattutto una reazione decisa dopo anni di moda, di stile: troppa immagine, e poca sostanza. Ho descritto in altri casi questo passaggio come una rivincita della lingua e del gusto, rispetto all’occhio e alla sola esperienza del guardare che è si è troppo spesso trasformata in voyeurismo di maniera. Il cibo stimola invece le nostre emozioni in modo cinestesico: non solo gusto ma anche olfatto, vista e tatto…”

Come si supera la contraddizione fra cibo, che è spesso sinonimo di tradizione, e l’innovazione dei sistemi di comunicazione
“Il superamento di questa possibile antinomia risiede già nei comportamenti della grande maggioranze delle persone: fotografare il piatto di ciò che si mangia e trasformare in comunicazione digitale i propri pasti in tempo reale, per la curiosità dei nostri amici nei social network, costituisce un comportamento ormai usuale che mescola esperienza on-line e off-line senza alcuna soluzione di continuità. L’affermazione di nuovi paradigmi avviene ormai senza fratture e coinvolge tutte le generazioni, come spiego nell’ultimo libro ConsumAutori”.

Nel tuo ultimo libro parli di dimensioni strutturali tenute insieme da “forze forti”, di energia di legame, di consumAutori: a cosa rispondono le food community?

“Le food community sono diverse e variegate e rispondono alla duplice esigenza di differenziarsi seguendo i propri talenti o inclinazioni, ma anche di condividere gusti e passioni con i tanti altri che si dimostrano simili nel seguirle. Possiamo definirle comunità orientate ad affinità espansive e non più elettive (per gli happy few…)”.

Oggi si esalta tutto ciò che si traduce in esperienza. Il cibo come può rientrare in questa nuova dinamica?

“Il cibo permette e sostiene l’esperienza forse più antica e profonda: alimentarsi per sopravvivere. E’ dunque normale che in questa fase di priorità esperienziali (nell’esistenza e nel consumo), l’alimentazione e il cibo abbiamo riconquistato la centralità che meritano”.

Credere o non credere alla crescita felice? Forse possiamo tornare a crederci. Albert Camus scriveva: “Nella profondità dell’inverno, ho finalmente imparato che dentro di me giaceva un’estate invincibile.” E se il cibo ci aiutasse a recuperare la dimensione della realtà fatta di incontri, scambi di opinione, desiderio di piacere?

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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