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Cibo, musica, arte: De Andrè trasforma una ricetta in poesia e ritmo

‘A cimma. De Andrè trascende una ricetta e coniuga cibo, musica e arte

Difficile parlare di questo album dentro il quale emerge “‘Â çimma”, dopo sei anni di silenzio e dopo il successo di “Crêuza de mä” (1984), in cui Farizio De André ritorna con l’amico Mauro Pagani ed anche con Ivano Fossati, naturalmente in lingua ligure: difficile questo album tali sono le collaborazioni, tali i rimandi (dalla Grecia antica sino alla poetessa Merini) e sopratutto per la raffinata maturità artistica del duo DE ANDRE’-PAGANI, una eccellenza mai superata.

Così dice Pagani sull’album: «Tutto quello che avevamo tra le mani di nuovo trovò peso e collocazione, dai ricchi ateniesi di Aristofane, così simili ai nostri, all’ignavia di Oblomov, dall’incanto malinconico di Čajkovskij alla saggezza un po’ guittesca e senza tempo del secondino Pasquale Cafiero».

Che significato ha la ricetta genovese “A cimma”?

Si tratta di una ricetta della cucina genovese, portata in alto a metafora in questa straordinaria canzone presente nel dodicesimo album del cantautore genovese: la cima e la Liguria, un legame indissolubile. La cima era originariamente un piatto povero, ma appetitoso e digeribile, preparato con ingredienti di recupero.

Era un classico delle feste e del pranzo pasquale; e qualcosa di più delle nostre parole aggiunge il commento della scià Maria, veterana delle ostesse genovesi de La Trattoria Maria di Genova: «La cima, anche nota come éuggio (cioè occhio), è un secondo piatto tipico della cucina ligure. Si tratta di una tasca di pancia di vitello farcita con diversi ingredienti e bollita in brodo di verdure. Nato come piatto dei poveri, utile a recuperare gli ingredienti avanzati dalla settimana, è diventato col tempo una pietanza per ricchi, viste le numerose ore che la sua preparazione comporta».

Cibo, musica, arte si coniugano con territorio, linguaggio e politica

Ecco il refrain, testo e traduzione

«Çê serèn, tæra scùa
carne tennia no fâte neigra
no tornâ dùa
Bell’oëgê straponta de tutto bon
primma de battezâla ‘nto preboggion
con doi agoggioin drïto in ponta de pê
da sorvia in zù fïto ti â ponziggiæ»
«Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non tornare dura
Bel guanciale materasso di ogni ben di Dio
prima di battezzarla nelle erbe aromatiche
con due grossi aghi dritto in punta di piedi
da sopra a sotto svelto la pungerai»

Anche Aldo Acquarone, poeta genovese tesse le lodi di questo piatto e ne descrive in rima ingredienti e preparazione nella sua poesia «A çimma pinn-a»:

«bòggi e tritolla, ma non troppo fin, do magro de vitella, do lacetto, mëzo cervello, Sbatti in tè ‘n tiänin sei êuva fresche, grattighe ûn tocchetto de parmixan, azzònzi puïsci e infin remescia, chêuxi e versa in tè ‘n sacchetto de scorsa de vitella con l’oëxin serròu e ben cûxio con do spaghetto…».

Il cibo vola nell’arte del simbolo: il cuoco maledice chi mangia superficialmente ….

Tornando alla canzone dell’album “Nuvole”, il brano descrive poeticamente la preparazione di un tipico piatto ligure, incentrandosi però sull’aspetto rituale del fatto.

Secondo De André, quando un cuoco prepara la cima, deve mettere una scopa di saggina in un angolo: se dalla cappa, malauguratamente, sbucasse la strega per maledire il cibo, essa dovrebbe contare le paglie della scopa, e nel tempo di fare questo la cima sarebbe già pronta.

Poi la cima viene “battezzata” nelle erbe aromatiche, punzecchiata e cucita. Alla fine vengono i camerieri a prendere la cima, con un velato senso di violenza per il cuoco, a cui lasciano “tutto il fumo del suo mestiere”, ed è lo scapolo a dover tagliare la prima fetta. Al cuoco non resta che maledire chi sta superficialmente mangiando il suo capolavoro culinario faticosamente preparato: “mangiate, mangiate, non sapete chi vi mangerà” .

 

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